Silvio Viale e l’assoluzione dall’accusa di stupro: «Toccare non significa palpare»

Il ginecologo e consigliere comunale di Torino Silvio Viale è stato assolto ieri dalle accuse di violenza sessuale. Il giudice ha stabilito che il fatto non costituisce reato. Le accuse venivano da dieci donne, ma alla fine la procura aveva chiesto una condanna a 1 anno e quattro mesi per tre casi. «Sono contento anche se amareggiato. Questa era un’accusa nei confronti del ginecologo e della ginecologia», dice oggi in un’intervista a Repubblica. «Visito da 40 anni le donne con le stesse modalità negli ospedali, nei consultori, ed ero convinto della mia innocenza rispetto ad accuse infamanti. Non ho mai perso la dignità e non ho smesso neanche un giorno di lavorare».
Viale e l’accusa di stupro
Secondo Viale con il suo processo «veniva messa in discussione la visita ginecologica. La condanna sarebbe stata un grave precedente per tutta la categoria». L’accusa gli contestava «toccamenti e palpeggiamenti repentini» collegati all’esecuzione della visita ginecologica. In un caso, per la procura, «fissava una paziente mentre si spogliava», in un altro nel congedarsi aveva baciato la tempia di una paziente (chiedendo il consenso): «Io ho svolto il mio lavoro. Delle proprie suggestioni ognuno pensa quello che vuole. Sono stato probabilmente frainteso, ma in un contesto di visita ginecologica “toccare” non significa “palpare”. Non c’era da parte mia alcuna intenzione di compiere un atto sessuale».
Il processo
In questi due anni, dice il ginecologo, ha vissuto «in modo tranquillo perché convinto di essere dalla parte del giusto. Attorno a me c’è stata una solidarietà palpabile da parte di tutti quelli che mi conoscono, amici e non, al di là delle discussioni e delle litigate, delle visioni contrastanti su vari argomenti. Devo dire grazie soprattutto a mia moglie e a mia figlia che mi sono state accanto in questa battaglia, senza battere ciglio». E ancora: «Sono state accuse infamanti. Io visito da decenni le donne con le stesse modalità e temevo venisse fuori chissà quale scia in questa vicenda. La sentenza rende giustizia a tutta la categoria che oggi, purtroppo, ho dovuto rappresentare».
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Il linguaggio
Sul linguaggio Viale ha però ammesso di aver utilizzato dei termini a volte crudi. «Io ho un linguaggio diretto, normale, come sempre. Certamente non sono Giuseppe Cruciani… ma quando vado a “La Zanzara” uso determinati termini, quando visito in studio o nei consultori uso un linguaggio diverso e professionale. Anche se alcune battute, con le mie pazienti, le faccio», ammette. Infine: «Non ho smesso neanche un giorno di lavorare e come detto da 40 anni adotto le stesse modalità. Anche questa mattina sono arrivato in tribunale in ritardo e di corsa rispetto all’orario per la sentenza, proprio perché ero in ospedale e la collega che doveva sostituirmi ha dovuto tardare per alcuni impegni. Ho imprecato per aver preso una strada anziché un’altra come avrei dovuto fare».
