Si suicidò nel college di New York, parla il padre di Claudio Mandia: «Messo in isolamento per un compito copiato e trattato come un animale»

«Ho una foto di mio figlio quando era in isolamento, trattato come un animale. Dissi di fargli scaricare lo stress in palestra. Ce lo portarono, ma quando non c’era nessuno. Assurdo». Mauro Mandia è un imprenditore salernitano. È anche il padre di Claudio, lo studente di 17 anni che nel febbraio 2022 si tolse la vita dopo essere stato sottoposto a giorni di isolamento disciplinare dalla EF Academy di Thornwood, la scuola newyorkese che frequentava. Una punizione, sostengono i genitori, scattata perché il ragazzo aveva copiato un compito di matematica. La scuola ha sempre negato. «Parlano i documenti. Gli atti sono migliaia», ribatte il padre, che da oltre due anni combatte una battaglia legale negli Stati Uniti.
«Zero segnali, né da Claudio né dalla scuola»
Il primo allarme, racconta Mandia, risale al 2021, quando in una comunicazione interna si paventava il rischio di un gesto estremo da parte di Claudio. «Zero percezione, né da Claudio né dalla scuola. Poi sono emerse conversazioni, a partire dalla prima mail del docente di italiano». Conversazioni che oggi fanno parte degli atti del procedimento civile e che, in alcuni passaggi, mostrerebbero un clima di derisione nei confronti del ragazzo: «Viene deriso. Eppure, i segnali erano chiari. Lo hanno messo in isolamento e lo hanno chiamato confinamento. Un’ipocrisia terminologica».
Chi era Claudio
Mandia parla del figlio come di un adolescente vivace, socievole, dotato. «Un ragazzo semplice ed estroverso. Aveva personalità e un’intelligenza brillante. Non un secchione, ma stava trovando la sua strada». Non fragile, insiste il padre. «Ci sono condizioni che psicologicamente diventano estreme. Pensiamo a “Mani pulite”: quanti casi come questo abbiamo vissuto? Gardini era una persona fragile? È la condizione di contrizione e isolamento che ha aggiunto dolore alla sofferenza per l’accaduto». Paradossale, aggiunge, che tutto sia iniziato per un compito copiato: «E pensare che in matematica, l’anno prima, aveva preso il massimo dei voti».
La scoperta della morte
Mauro e sua moglie erano volati negli Stati Uniti per festeggiare i 18 anni del figlio. È lì che hanno appreso della tragedia: «Abbiamo incrociato il professore di italiano. Da lontano gli ho urlato “Claudio come sta?”. E lui, piangendo: “Claudio è morto”. Sono caduto a terra. Mia moglie è rimasta in piedi. Poi ci siamo guardati e abbiamo detto: “Come avete potuto farlo?”». Lo stesso insegnante, sottolinea Mandia, aveva in precedenza scritto la mail in cui si riportavano i pensieri suicidari del ragazzo.
«Avete ammazzato accademicamente mio figlio. E non vi è bastato»
Dopo l’espulsione, poi rientrata come sospensione, Claudio aveva parlato con il preside e un altro responsabile. «Cercò di sciorinare il suo curriculum. Io gli dissi: avete ammazzato accademicamente mio figlio e non vi è bastato. Adesso lo dovete pure torturare con l’isolamento». Una decisione, sottolinea Mandia, tanto più inaccettabile per un’istituzione privata che costa 63.000 dollari all’anno: «Non vuoi trattare mio figlio come uno studente? Trattalo almeno come cliente, visto che negli Usa vige la logica economica».
In attesa della giustizia civile
Il procedimento penale si è già concluso. «Il procuratore generale ci disse che avremmo trovato “soddisfazione” in sede civile. È la pena pecuniaria che si sostituisce a quella detentiva. È una questione culturale. In qualunque modo, sia fatta giustizia». Mandia definisce la sua filosofia “condivisione”. Un principio che ora anima anche la loro battaglia: «Sì, stiamo andando contro un mostro. Parliamo di una multinazionale da 50 miliardi di fatturato e 65.000 dipendenti. Quando combatti una causa in un paese che non è il tuo, sei straniero sempre. Ma andiamo avanti, perché non accada più».
