Padri sempre più tardi: uno spermatozoo su 20 è potenzialmente patogeno. Lo studio che cambia la scala del rischio

Che l’età dei genitori lasci un’impronta sulla salute dei figli è un concetto consolidato. Per lungo tempo, però, il baricentro dell’attenzione è rimasto quasi esclusivamente sull’età materna, legata a rischi riproduttivi ormai ben noti. L’età paterna, pur non ignorata dalla ricerca, è rimasta sullo sfondo: si sapeva che con il passare degli anni aumentano nelle cellule germinali maschili le mutazioni che insorgono per la prima volta, piccole variazioni del DNA che non compaiono nei genitori ma emergono direttamente nello spermatozoo — ma le evidenze disponibili riguardavano soprattutto pochi geni e condizioni rare.
Una nuova analisi pubblicata su Nature amplia però la cornice. Grazie a una tecnica di sequenziamento più sensibile, il lavoro suggerisce che nei testicoli si accumulano, con l’età, cellule staminali portatrici di mutazioni che tendono a diventare sempre più frequenti. Il risultato è un aumento progressivo della quota di spermatozoi che trasporta varianti potenzialmente patogene. Un’indicazione che apre a un quadro più ampio, che i dati dello studio permettono ora di delineare con maggiore chiarezza.
Lo studio sul DNA
Fino ad oggi, l’impatto dell’età paterna veniva misurato soprattutto attraverso gli studi sui de novo nei figli: confrontando cioè il DNA dei genitori con quello dei bambini, si era visto che gli spermatozoi degli uomini più anziani accumulano progressivamente nuove mutazioni, in media una o due l’anno, e che alcune di queste possono causare disturbi dello sviluppo. Studi precedenti, condotti su pochi geni e su tessuti testicolari, avevano anche suggerito l’esistenza di un fenomeno chiamato “selezione spermatogoniale egoista”: alcune mutazioni, invece di restare eventi isolati, conferiscono un vantaggio alle cellule staminali del testicolo e permettono loro di espandersi, aumentando così la probabilità di essere trasmesse.
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Era il caso, per esempio, dei lavori storici di Anne Goriely a Oxford, che avevano fatto emergere il concetto di selfish spermatogonial selection: mutazioni che, una volta comparse, conferiscono un vantaggio di crescita a quelle cellule e finiscono per essere sovra-rappresentate, cioè presenti in una quota più alta di spermatozoi rispetto a quanto ci si aspetterebbe in condizioni normali. Ma si trattava pur sempre di osservazioni focalizzate su pochi geni noti. Il nuovo studio pubblicato compie un salto di scala esplorando il fenomeno a livello esomico, cioè nel segmento del genoma che contiene i geni “attivi”, quelli che danno origine alle proteine.
È una porzione del nostro DNA dove le mutazioni possono davvero cambiare qualcosa, ed è lì che i ricercatori sono andati a cercare. In sostanza, non osservano più qualche punto strategico, ma quasi tutte le regioni codificanti, ottenendo una mappa radicalmente più ampia dei processi evolutivi che avvengono nella linea germinale maschile.
Più di 35mila mutazioni
Per farlo è stata utilizzata una tecnica di sequenziamento che legge entrambe le eliche del DNA riducendo gli errori: solo le mutazioni presenti su entrambi i filamenti vengono accettate come reali. Questo approccio permette di scovare varianti rarissime, perfino quelle presenti in un singolo spermatozoo. Con questa precisione, il team di ricerca ha analizzato oltre 100.000 spermatozoi di 81 uomini tra i 24 e i 75 anni, generando più di 35.000 mutazioni codificanti.
È in questo contesto che il quadro si modifica: la frequenza delle varianti patogene non cresce solo perché con l’età aumentano le divisioni cellulari e quindi le mutazioni, ma perché alcune di queste mutazioni alterano vie di segnalazione cruciali nelle cellule staminali dei testicoli, fornendo loro un vantaggio di proliferazione. Nel corso degli anni, queste cellule mutate tendono a espandersi: occupano porzioni via via maggiori dei tubuli seminiferi e producono una quantità crescente di spermatozoi che portano la stessa mutazione. Il risultato è un aumento non lineare della frequenza di queste varianti nello sperma.
È per questo che, secondo i dati, negli uomini intorno ai 30 anni circa uno spermatozoo su 50 contiene una mutazione potenzialmente patogena, mentre a 70 anni il rapporto diventa 1 su 20. E il sequenziamento esteso ha identificato 40 geni coinvolti in queste dinamiche (31 dei quali non descritti in precedenza), molti dei quali associati a disturbi dello sviluppo neurologico o a forme ereditarie di predisposizione al cancro.
Il resto del corpo umano
Uno dei punti più interessanti riguarda il confronto con il resto dell’organismo. Gli spermatozoi derivano da cellule staminali presenti nei testicoli: sono le uniche cellule dell’adulto destinate a trasmettere mutazioni ai figli. Tutti gli altri tessuti del corpo, il sangue, la pelle, le mucose, invecchiano in modo diverso: accumulano mutazioni molto più velocemente e formano “cloni” cellulari che diventano dominanti, soprattutto dopo i 50 anni.
È un fenomeno noto come espansione clonale somatica, ed è legato anche a fattori ambientali come fumo e alcol. Nel testicolo, invece, gli scienziati trovano uno scenario opposto: le cellule che producono gli spermatozoi accumulano mutazioni circa otto volte più lentamente rispetto alle cellule del sangue e non mostrano alcun effetto del fumo, dell’alcol o dell’obesità. La loro “lentezza” e la loro relativa protezione dagli stimoli esterni sono evolutivamente comprensibili: servono a garantire che il patrimonio genetico destinato alla riproduzione rimanga il più possibile stabile.
Questo non significa che non avvenga selezione: anche qui alcune mutazioni conferiscono alle cellule staminali un vantaggio e ne favoriscono l’espansione. Ma mentre nei tessuti del corpo queste espansioni clonali possono influire sulla salute dell’individuo (per esempio aumentando il rischio oncologico), nei testicoli non compromettono la salute dell’uomo che le porta. Possono però avere un impatto diretto sulla salute dei figli, perché aumentano la probabilità che uno spermatozoo porti mutazioni coinvolte in disturbi dello sviluppo o predisposizioni tumorali.
Le implicazioni cliniche
Questi dati non implicano automaticamente che la paternità in età avanzata comporti un rischio elevato di malattia per i figli. La maggior parte delle mutazioni rilevate non arriva a tradursi in una patologia e molte possono essere neutralizzate nelle primissime fasi dello sviluppo embrionale. Tuttavia, la presenza di una quota crescente di spermatozoi portatori di varianti patogene suggerisce che il peso dell’età paterna potrebbe essere stato finora sottostimato. In passato, le stime di rischio si basavano quasi esclusivamente sul numero totale di mutazioni “nuove” trasmesse ai figli; ora risulta evidente che conta anche quali mutazioni compaiono, e soprattutto la loro capacità di espandersi nella linea germinale.
Mutazioni di questo tipo sono spesso coinvolte in disturbi dello sviluppo neurologico o in forme rare di predisposizione tumorale, condizioni in cui il contributo paterno è da tempo riconosciuto, ma mai quantificato a questo livello di dettaglio. Rimangono al momento ancora zone d’ombra su cui la ricerca dovrà andare avanti: non sappiamo con precisione quanto queste varianti contribuiscano ai casi di malattia nella popolazione generale, né quali fattori possano modulare, accelerare o rallentare, l’espansione dei cloni mutati nei testicoli.
Gli strumenti offerti dalla medicina
Oggi esistono vari servizi e tecniche mediche che possono aiutare gli uomini a gestire in modo consapevole la paternità, anche in presenza di incertezze o con l’idea di rimandarla. Ecco i principali:
- Consulenza genetica o andrologica preventiva: nei casi in cui gli uomini siano consapevoli di rischi (età, storia familiare, condizioni particolari) la consulenza può aiutare a comprendere cosa è oggi noto, quali sono i limiti e le incertezze spiegando scenari e opzioni. Non offre risposte predittive su un singolo individuo, perché queste mutazioni sono rare e non testabili direttamente nello sperma, ma aiuta a contestualizzare i fattori di rischio e a valutare se esistono elementi familiari o clinici che meritano un approfondimento.
- Banche del seme (“sperm-banking”): molte cliniche e centri di medicina della riproduzione offrono il servizio di raccolta, analisi, congelamento e stoccaggio del liquido seminale. A volte può essere consigliato a uomini giovani che prevedono di rimandare la paternità o che vogliono conservare una “riserva” prima di eventuali trattamenti medici.
- Inseminazione intrauterina (IUI): È la tecnica più semplice e meno invasiva. Il campione di sperma, preparato in laboratorio, viene inserito direttamente nell’utero della partner durante la fase fertile. È utile quando la qualità del seme è moderatamente ridotta o quando esistono difficoltà di concepimento non gravi. Non richiede la fecondazione in vitro e mantiene un processo di concepimento molto simile a quello naturale, solo “agevolato”.
- Fecondazione in vitro (FIVET/IVF). Qui l’incontro tra ovocita e spermatozoo avviene in laboratorio. L’ovocita viene fecondato in una piastra di coltura e, se l’embrione si sviluppa correttamente, viene poi trasferito nell’utero. È indicata quando i parametri seminali sono più compromessi, quando c’è un fattore femminile di infertilità o quando precedenti tentativi non hanno dato esito. Consente un maggiore controllo sulle fasi iniziali dello sviluppo embrionale.
- ICSI (Iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo). È una tecnica più avanzata: un singolo spermatozoo viene iniettato direttamente all’interno dell’ovocita. È utile quando il numero di spermatozoi mobili è molto basso o quando si desidera utilizzare campioni crioconservati con resa limitata. Non aumenta la qualità genetica dello spermatozoo, ma permette la fecondazione anche in condizioni in cui metodi tradizionali non sarebbero efficaci.
- Diagnosi genetica preimpianto (PGT). Non rileva le mutazioni “egoiste” di cui parla lo studio, ma può essere considerata nei casi in cui esista già un rischio genetico noto nella coppia (malattie monogeniche familiari, traslocazioni cromosomiche, condizioni ereditarie specifiche). È una procedura che analizza alcune cellule dell’embrione prima del trasferimento, per selezionare quelli privi della mutazione familiare.
- Crioconservazione del seme. Molto diffusa e ormai standardizzata, permette di congelare gli spermatozoi in età giovane e utilizzarli anni dopo, attraverso le tecniche sopra descritte. Non è una raccomandazione universale, ma una possibilità per chi prevede di posticipare molto la paternità o per soggetti che devono affrontare terapie che possono compromettere la fertilità (chemioterapia, radioterapia).
