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La comunicazione accessibile, un dialogo comune – Il commento

15 Dicembre 2025 - 18:15 Francesca Donnarumma
tastiera braille computer
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L’accessibilità non riguarda solo la tecnologia, ma il modo in cui scegliamo di guardare agli altri. L'op-ed di Francesca Donnarumma per Il senso dell'informazione

Quando si parla di comunicazione accessibile, spesso si pensa solo a un tema tecnico: testi più grandi, contrasti di colore, sottotitoli, descrizioni audio. Ma per me, che sono sordocieca, l’accessibilità è prima di tutto una questione di diritto e dignità. Comunicare significa partecipare alla vita sociale, informarsi, capire cosa accade nel mondo e poter dire la propria opinione. Eppure, nel 2025, questo diritto è ancora troppo spesso negato o limitato per chi, come me, non può vedere o sentire come gli altri.

Oggi la comunicazione è ovunque: sui social, nei siti web, nei video, nei telegiornali. Ma non sempre è pensata per essere davvero inclusiva. Molti contenuti visivi non hanno descrizioni, i video mancano di sottotitoli accurati o sono troppo veloci, e i siti d’informazione continuano a usare grafiche che i lettori di schermo non riescono a interpretare. Questo crea una distanza invisibile: mentre gli altri scorrono, leggono, commentano e condividono, chi usa strumenti come una barra braille o una sintesi vocale resta indietro, o deve fare uno sforzo enorme per accedere alle stesse informazioni.

L’accessibilità della comunicazione non dovrebbe essere vista come un favore o un’eccezione, ma come una responsabilità collettiva. Significa rendere il mondo un po’ più equo, dare la possibilità a tutti di partecipare e di essere informati. Perché l’informazione non è solo trasmissione di dati: è anche costruzione di consapevolezza, appartenenza e cittadinanza.

Negli ultimi anni qualcosa è cambiato, e questo va riconosciuto. Alcune redazioni, giornalisti e content creator stanno iniziando a formarsi su questi temi. Ho notato un’attenzione crescente verso la lingua semplice, le descrizioni alternative e l’uso di strumenti digitali più accessibili. Ma siamo ancora lontani da un’informazione davvero per tutti. Spesso manca la conoscenza di base: chi comunica non sa come creare un post leggibile da uno screen reader, o come scrivere una didascalia che renda un’immagine “visibile” anche per chi non la vede.

Questa mancanza di consapevolezza pesa. Non basta parlare di inclusione: bisogna imparare a mettersi nei panni di chi comunica in modo diverso. Significa rallentare, spiegare, descrivere, rendere chiaro ciò che per altri è scontato. Eppure, non si tratta di un sacrificio, ma di un arricchimento: ogni volta che un testo diventa più accessibile, diventa anche più umano e comprensibile per tutti.

Io sogno una comunicazione dove non serva più specificare “accessibile”, perché lo sia di default. Dove un sito web sia navigabile da chiunque, un video sia fruibile anche senza suono o immagine, e le parole siano scelte pensando a tutti, non solo alla maggioranza. Non è un’utopia, è un obiettivo possibile. Ma serve volontà, formazione e la capacità di ascoltare chi vive ogni giorno la disabilità sensoriale.

L’accessibilità non riguarda solo la tecnologia, ma il modo in cui scegliamo di guardare agli altri. Comunicare in modo inclusivo significa riconoscere la diversità come valore e costruire ponti, non muri. Io credo che la vera innovazione non stia nei mezzi, ma nella sensibilità di chi li usa.

Finché ci sarà anche solo una persona esclusa dall’informazione, la comunicazione non potrà dirsi completa. Ed è proprio da qui che dobbiamo ripartire: dalla voce, dal silenzio, dal tatto, e da ogni forma di espressione che permette a ciascuno di sentirsi parte di un dialogo comune.

Questo contenuto è stato realizzato nell’ambito di “Il senso dell’informazione”, il primo corso di giornalismo dedicato alle persone con sordocecità organizzato da Open in collaborazione con Lega del Filo d’Oro

Foto in evidenza di Jonathan Richard su Unsplash.com

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