«Informazioni da 007 israeliani? Singolare». Hannoun, i soldi ad Hamas e i dubbi del penalista Diddi: «Così ogni Ong a Gaza è terrorista»

Un software spia nei computer dell’associazione genovese per tracciare i presunti fondi per la popolazione palestinese, in realtà – secondo l’accusa – finiti in mano ad Hamas. I documenti forniti agli 007 italiani e alla procura di Genova dall’intelligence israeliana. E un’accusa che sembra basarsi al contempo su una analisi approfondita e su un sillogismo che, giuridicamente e penalmente, fatica a stare i piedi. Secondo Alessandro Diddi, penalista all’Università della Calabria ed esperto di criminalità organizzata, ci sono diversi punti traballanti nell’inchiesta che ha portato all’arresto di 9 persone con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo. Tra loro anche Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione dei palestinesi nel nostro Paese e considerato al vertice della cellula italiana.
Le fonti di intelligence e il legame con Israele
La posizione di Diddi sembra, almeno in parte, ricalcare perfettamente i dubbi espressi dai legali di Hannoun, che sostengono che l’accusa sia «largamente costruita su elementi probatori e valutazioni giuridiche di fonte israeliana», senza dunque possibilità effettiva di controllo sui contenuti. «È singolare che la prova di possibili collegamenti tra i destinatari di queste somme e Hamas sia data solo da report che vengono dall’autorità militare israeliana o dai loro servizi segreti», ha detto al Messaggero il penalista. «Non è ben chiaro in che modo (la documentazione, ndr) sia pervenuta. Se fosse arrivata da un’autorità giudiziaria, sarebbe stato tutto molto più trasparente».
Il punto chiave nell’accusa di terrorismo
Altro nodo da sciogliere per gli inquirenti è la formulazione stessa dell’accusa: «Il punto critico è la riconducibilità di chi ha ricevuto questi finanziamenti a organismi che abbiano effettuato attività legate al terrorismo. Trattandosi di un reato associativo, perché un terrorista sia definito tale serve dimostrare che svolga attività di carattere terroristico concrete», ha spiegato Alessandro Diddi. «Qui abbiamo una serie di destinatari di somme di denaro con delle causali che sulla carta fanno ritenere si tratti di beneficenza. Ma occorre avere la prova che siano state utilizzate per un’attività terroristica. E il terrorismo ha delle caratteristiche ben precise: quelle di aggredire la popolazione per creare terrore».
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Il «sillogismo» pericoloso nell’accusa
Ed è proprio su questo tema che si annidano oscurità: «I soldi finivano ad associazioni collegate ad Hamas? Sarebbe difficile sostenere il contrario, visto che hanno operato in un territorio che politicamente era occupato da Hamas. Ma quindi se c’è il controllo di Hamas, e siccome Hamas è un’associazione terroristica, vuol dire che anche queste entità controllate sarebbero terroristiche? È un sillogismo che non sta in piedi», critica il professor Diddi. «A quel punto nessun altro tipo di organizzazione umanitaria potrebbe operare nella Striscia di Gaza».
