L’ambasciatore disertore Jo Song gil? “Più coreano di un coreano”

Il cellulare dell’ambasciatore è spento e al campanello dell’ambasciata nordcoreana a Roma non risponde nessuno. “È da più di un mese che provo a chiamarlo, senza successo”, dice l’ex senatore Antonio Razzi. “Ma è strano: era molto militare. Sono preoccupato”. “Non credo nella diserzione”, dice un altro ex senatore leghista che l’anno scorso ha portato una delegazione nordcoreana in Veneto

“Se lo conoscevo? Eccome, sono stato in Corea del Nord, a Pyongyang, tredici volte! Era un amico, sono rimasto sorpreso”. La notizia della diserzione di Jo Song-gil, ambasciatore nordcoreano in Italia, ha raggiunto Antonio Razzi in Abruzzo, dove si trova per le feste. La notizia era arrivata da Seul, dalla capitale della Corea del Sud,voci perentorie: l'ambasciatore ha lasciato Roma ed attualmente è in regime di richiesta d'asilo in un altro Paese europeo. “Non me lo sarei mai aspettato”, dice a OPEN l’ex senatore Razzi che si è sempre considerato “grande amico” del dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Jo Song-gil “era uno molto militare: guai a parlare male della Corea. Era più coreano di un coreano”, dice Razzi. “Lo vedevo spesso e un mese fa eravamo a pranzo insieme a Roma. Dopo quella volta ho provato a chiamarlo, perché mi aveva detto che sarebbe rientrato a Pyongyang e che avrebbe lasciato al suo attuale successore a Roma, Kim Min-ki. Temo che in effetti sia successo qualcosa perché la tempistica è strana: mi aveva detto che prima di rientrare in Nord Corea avrebbe voluto fare un giro del nord Italia con la famiglia, perché non conosceva quelle zone”, dice Antonio Razzi. “Volevo salutarlo. Ma non mi ha mai più risposto: il cellulare squillava a vuoto. Anche Kim Min-ki mi ha detto che non sa che fine abbia fatto”, dice Razzi.


 


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Giuseppe Lami/Ansa

 

Lo stesso cellulare che ora risulta spento. Al campanello dell’ambasciata nordcoreana a Roma, nascosta in un angolo di villette, verde e Porsche che circolano in via dell’Esperanto, a due passi dalla trafficatissima via Cristoforo Colombo, all’Eur, non risponde nessuno. I passanti, pochi e di fretta, raccontano che sì, qualcuno ogni tanto si vede entrare e uscire dalla villetta. E sì, puliscono tanto il giardino davanti, e spesso cambiano le foto esposte su un pannello all’ingresso ora significativamente vuoto, aggiornandole con nuove foto di eventi e iniziative dell’ambasciata. E che no, se incontrassero l’ambasciatore in mezzo alla strada non sarebbero in grado di riconoscerlo. 

 

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Giuseppe Lami/Ansa

 

A escludere categoricamente la diserzione è invece Valentino Perin, già senatore della Lega (all’epoca Nord) per due legislature, fino al 1996. A quell’epoca risalgono i suoi contati con la Corea del Nord, contatti che gli hanno permesso di organizzare, a marzo del 2018, la visita di una delegazione del paese ad aziende padovane e trevigiane. Visita che si è conclusa con il dono della Campana della Pace all’ambasciatore Jo Song Gil. “Una scommessa vinta", dice Perin a OPEN. "Nessuno credeva davvero che saremmo riusciti a farli venire: per Trump, all’epoca, ma soprattutto dopo che l’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano aveva espulso l’ambasciatore nordcoreano”. Era il 2017 ed era la risposta dell’Italia alle provocazioni missilistiche di Pyongyang.

 

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Credit: Parrocchia di Farra di Soligo

 

Poi a Roma era arrivato Jo Song Gil in qualità di facente funzioni, come incaricato d’affari ad interim per la Repubblica Popolare Democratica di Corea. Insieme a Pak Myong Gil, segretario d’ambasciata a Roma, Antonio Loche, segretario generale della Issma di Roma, a marzo avevano incontrato anche il pro rettore dell’Università di Padova, Alessandro Paccagnella. Jo “era rilassato, contento e quasi geloso della Campana della Pace”, dice Perin. “No, non credo che sia diserzione: è una persona solare, non il diplomatico grigio che reprime e nasconde. Probabilmente è stato richiamato a Pyongyang per il valore del suo operato in Italia".

 

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Credit: Parrocchia di Farra di Soligo

 

“Gli ho consegnato la campana della pace ed era molto contento”, dice don Brunone De Toffol, parroco di Farra di Soligo e Soligo, in provincia di Treviso. “E ha detto: chissà se non la possiamo fare anche noi in Corea, la Campana della Pace”. “Non ho chiesto di che religione fosse”, dice don Brunone a OPEN. “Anzi. Solo dopo ho letto che in Corea del Nord non amano i preti”, sorride. “Abbiamo mangiato insieme il tiramisù, gli abbiamo raccontato che è un dolce tipico e so che gli albergatori gli hanno dato una porzione di dolce da portare a casa da moglie e figli”. L’ambasciatore nordcoreano ha anche “trovato bellissime le nostre colline, ha detto che assomigliano a quelle del suo paese”. E “ha aggiunto: se voi in 100 anni dopo la prima guerra Mondiale siete riusciti a cambiare così il volto dei paesaggi e delle persone, chissà che non ci sia un cambiamento anche da noi. Anche da noi la gente è laboriosa come la vostra”. Parlava dei rapporti tra le due Coree? “Non ci siamo addentrati a chiedere cosa pensasse al merito. CI sembrava inopportuno e lui non ha specificato. Ma quelle sono state le sue parole”.