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Possibili carenze di farmaci nel dopo Brexit? L’Intervista al direttore dell’Agenzia europea per i medicinali

Entro il 15 febbraio dovrebbe essere pronta una lista di farmaci che potrebbero essere difficili da reperire dopo l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea

Dall’aspirina fino alle nuove terapie geniche, ogni farmaco che arriva sul mercato europeo deve prima ottenere l’approvazione dell’Ema, l'Agenzia europea per i medicinali. L’istituzione ha un ruolo di vigilanza e di regolamentazione della vendita di farmaci in tutti i paesi membri. Dalla sua fondazione, la sede è a Londra ma con la Brexit si prepara a tornare nel continente.

Fino a qualche mese fa un suo ritorno in Italia sembrava possibile: Milano aveva messo a disposizione gli uffici del Pirellone. Dopo aver ricevuto un numero di voti pari ad Amsterdam, il capoluogo lombardo ha perso all’ultimo con un sorteggio, Milano ha presentato un ricorso, bocciato nel marzo 2018. Il trasloco dovrebbe avvenire ad aprile in una sede provvisoria nell'attesa che quella ufficiale sia pronta (non prima di novembre 2019).

In attesa di scoprire se, quando e come il Regno Unito lascerà l’Unione Europea, il Ministero della salute britannico ha pubblicato delle linee guida su come avverrà il monitoraggio di farmaci nel dopo-Ema, anche per tranquillizzare chi teme ci possano essere blocchi o gravi ritardi sulle importazioni nel caso di un mancato accordo. I problemi potrebbero riguardare sia i farmaci europei in entrata nel Regno Unito, sia quelli britannici in uscita verso il mercato europeo.

OPEN ne ha parlato con l’italiano alla guida dell’Ema dal 2011, il Professor Guido Rasi, partendo proprio da questo argomento.

Professor Rasi, come state vivendo l’imminente trasferimento ad Amsterdam?

«La nostra attenzione non è più tanto concentrata sul Regno Unito. È legge europea che la nuova sede sia Amsterdam, ormai un processo irreversibile. I nostri dipendenti si stanno preoccupando di più di trovare una nuova casa, le scuole per i figli o un lavoro per il coniuge. Cosa succederà a Theresa May allo staff dell’Ema interessa ogni giorno un po’ meno».

Come vi state preparando invece all’uscita del Regno Unito dall’Ue?

«Noi stiamo lavorando su cosa potrebbe accadere in caso di un no-deal (un'uscita senza accordo). Se le case farmaceutiche non si sono preoccupate di fare alcune cose elementari – come il fatto di trovare una persona qualificata che possa verificare la qualità dei prodotti – ci potrebbero essere delle carenze di farmaci, sia in territorio europeo che in Gran Bretagna. Per il 15 febbraio dovremmo avere la lista di tutti i farmaci autorizzati centralmente dall’Ema per mettere ciascuno stato membro in condizione di avere circa un mese e mezzo (la data ufficiale della Brexit è il 29 marzo, ndr) per fare magazzino dei farmaci che potrebbero essere potenzialmente carenti o per completare l’iter per far sì che la circolazione dei farmaci continui ad esser efficiente».

Mercoledì Il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi si è detto preoccupato che l’Italia possa essere penalizzata in quanto paese esportatore di farmaci. Ha ragione a esserlo?

«È vero ed è esattamente quello su cui stiamo lavorando: quali farmaci non hanno una completa autorizzazione in Europa, quali farmaci esportiamo là e quali ostacoli potrebbero esserci in assenza di un accordo. È uno scenario che cambia ora per ora. La sua preoccupazione è quella per cui noi stiamo lavorando ormai da un anno e mezzo».

È troppo presto per parlare di quali farmaci non saranno disponibili?

«La lista è in continuo aggiornamento, solitamente in meglio, poche volte in peggio. Noi ci stiamo preparando allo scenario peggiore: a ogni stato membro abbiamo dato una lista con alternative terapeutiche a seconda del farmaco, nel caso in cui non fosse più disponibile».

Sempre a proposito del futuro, che ruolo può svolgere l’Ema per contrastare il crescente sentimento anti-scientifico che si è diffuso in Italia come altrove? Pensiamo per esempio alle campagne no-vax.

«Il fenomeno dei no-vax è generalizzato, ha preso piede non soltanto in Italia ma anche in Galles come negli Stati Uniti. Quello che l’Ema può fare è dare un’informazione corretta. Per esempio, i vaccini possono avere effetti collaterali, ma raramente vengono dati i numeri e le dimensioni di questo fenomeno: parliamo di miliardi di vaccinati e soltanto decine di osservazioni di casi di effetti collaterali probabilmente correlati ai vaccini. Lo stesso riguarda le paure legate alla sovrabbondanza di metalli pesanti nei vaccini rispetto all'acqua: dobbiamo spiegare che assumendo un volume molte inferiore di vaccini nell'arco di una vita non dovrebbero esserci effetti collaterali. Troppo spesso non diamo l’ordine di grandezza alle cose: ci dobbiamo impegnare a dare un'informazione ancora più precisa e puntuale».

Non le sembra anche un problema di natura politica?

«La politica a volte raccoglie dei dubbi e delle emozioni e magari ne fa un uso senza approfondire quello che ci sia dietro. Certo sarebbe preoccupante se in futuro azioni politiche screditassero le istituzioni scientifiche».

Quando parla del dovere di informazione dell'Ema, riguarda anche i giovani, o non rientra nel vostro mandato?

« Nel termine specifico del settore devo dire che abbiamo avuto 5.000 domande per 200 posti quindi, per chi è del settore, l’Ema è conosciuta ed è un posto ricercatissimo e tra i candidati ci sono molti italiani. In termini invece della popolazione generale ci interessa forse ancora di più. Vorremmo riuscire a comunicare meglio il processo di certificazione che è estremamente accurato, utilizzando più di 6.000 esperti e passando per 7 comitati. Siamo aperti a ricevere consigli per come farlo ancora meglio. Per noi è fondamentale che le nuove generazioni ci prendano come punto di riferimento».

Per finire, una domanda personale: cosa le mancherà di Londra?

« A titolo personale la vista sul Tamigi. Cosa potrebbe mancare all'Ema? Bisognerà costruire una serie di expertise. Sono ottimista: l’Europa è densissima dal punto di vista dell’expertise accademico. Non credo avremo problemi».

Cosa risponde a chi auspicava un trasferimento dell’Ema in Italia?

«Da italiano rispondo che un italiano torna sempre volentieri in Italia. Milano era insieme ad Amsterdam una delle migliori opzioni. Come direttore dell’Ema rispondo: era benvenuta una delle cinque opzioni che ci permetteva di lavorare».

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