Qual è la situazione in Libia? L’intervista di Open al professor Francesco Strazzari

Due governi, la rivalità tra al Sarraj e il generale Haftar e la sempre più drammatica crisi dei migranti. Cosa sta succedendo in Libia?

Dopo i tre naufragi dei giorni scorsi e la morte di circa 170 persone al largo delle coste libiche, la situazione politica del Paese è tornata al centro del dibattito politico. Dopo l’uccisione del dittatore Muammar Gheddafi avvenuta nel 2011, la Libia è piombata in una guerra civile che ha diviso il Paese con la formazione di due governi, uno a Tripoli e l’altro a Tobruk. Per fare chiarezza sulla situazione attuale abbiamo intervistato Francesco Strazzari, professore di Relazioni Internazionali presso la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Ma prima, ripercorriamo alcune delle tappe fondamentali del conflitto in Libia.


  • Ottobre 2011: Il leader libico Muammar Gheddafi viene catturato e ucciso durante la battaglia di Sirte.
  • Luglio 2012: In Libia si torna per la prima volta alle elezioni. Il Consiglio Nazionale di Transizione cede il mandato al nuovo governo eletto: il Congresso Nazionale Generale (GNC) è incaricato di formare un governo a interim e di redigere una nuova costituzione, con un mandato della durata di 18 mesi.
  • Febbraio 2014: Il generale Khalifa Haftar diventa un personaggio chiave per lo sviluppo della situazione politica in Libia. Ma Haftar si oppone al Congresso Nazionale Generale, di cui richiede ufficialmente lo scioglimento.
  • Marzo 2015: Il parlamento regolarmente eletto con sede a Tobruk e presieduto da al-Thani aderisce ufficialmente all’operazione «dignità» del generale Haftar, nominandolo ufficialmente capo dell’esercito libico. Nasce così la situazione di un governo conteso che vede contrapporsi il governo di Tripoli e il governo di Tobruk. Nonostante l’Onu abbia sostenuto il dialogo tra i due governi, la presenza di gruppi estremisti in entrambe le fazioni ha reso difficile ogni tentativo di riavvicinamento.
  • 2016: Proseguono gli scontri tra il Governo di Accordo Nazionale, presieduto da Fayez al-Sarraj, e l’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar che continua ad esercitare il suo controllo sulla Cirenaica grazie al sostegno egiziano e russo.
  • Novembre 2018: La conferenza di Palermo organizzata dall’Italia per trovare una soluzione diplomatica e proporre un dialogo tra il leader del governo di unità nazionale a Tripoli, Fayez al Sarraj, e il suo oppositore, il generale Haftar si conclude con un nulla di fatto.

Professor Strazzari, qual è la situazione politica ad oggi in Libia?


Dallo scorso autunno abbiamo assistito a una serie di violenze nel sud della capitale che rischiavano di destabilizzare completamente il Paese. Come sappiamo a Tripoli è insediato il governo riconosciuto internazionalmente di al-Sarraj. Un protocollo di sicurezza negoziato dalle Nazioni Unite ha in qualche modo rinsaldato, anche se con qualche elemento di precarietà, la situazione nella Capitale. Senza però scalfire il potere delle principali milizie che costituiscono un cartello che tiene sotto-scacco le realtà politiche internazionalmente riconosciute. Inoltre, la data per le elezioni è tuttora incerta.

Abbiamo due camere di rappresentanza da lungo scadute e un governo riconosciuto che però ha fortissimi problemi di affermazione sul territorio. Dall’altro, abbiamo il generale Haftar che è l’uomo forte della Cirenaica che gode del sostegno di Egitto e Russia ma anche di ottimi rapporti con la Francia. Sappiamo che nella fase politica attuale Haftar si era recato alla conferenza di Palermo dove l’Italia cercava di riaffermare un ruolo in Libia. Nella conferenza si è consumata una situazione ambigua: Haftar è venuto dicendo che non intendeva negoziare con le controparti libiche.

Italia e Francia: c’è una rivalità in Libia?

Sicuramente Italia e Francia si dividono in primo luogo il campo mediatico rispetto al rivendicare una presenza e un’azione sulla questione immigrazione. Il casus belli che ha portato alla caduta di Gheddafi è sempre stato percepito come uno sconfinamento della Francia per via unilaterale. Quello che si nota in tutto questo dibattito è un certo pressapochismo; in primo luogo quando parliamo di Libia non stiamo parlando di un luogo in cui la Francia ha un ruolo storico dal punto di vista coloniale. È caso mai l’Italia a dover fare i conti con il suo passato coloniale. Negli ultimi giorni il dibattito pubblico si è acceso sull’uso del franco cfa in Africa. È sicuramente una moneta che ha origini coloniali, ma il suo destino è stato fortemente mutato negli ultimi anni tanto che nei decenni scorsi venne lasciato fluttuare. Questo aggancio agli equilibri monetari francesi nell’epoca dell’euro ha più un ruolo di polemica che di realtà.

Dal punto di vista politico la Francia è molto più vicina ad Haftar, leader non riconosciuto dalla comunità internazionale e anche dall’Italia. Tuttavia questo approccio è dovuto a diversi motivi. Haftar ha sempre dato prova di voler combattere gli islamisti. In particolare nella città di Bengasi, abbiamo assistito dal 2013 2014 a uno stillicidio. Tutta l’élite è stata ‘uccisa’ da due componenti di islamismo piuttosto evidenti: l’islamismo jihadista e quello politico legato ai fratelli musulmani e dunque alla Turchia e alla città di Misurata. Con l’operazione dignità, Haftar ha dato via a una lotta all’islamismo politico e al jihadismo. Haftar è una figura molto particolare, ha vissuto negli Stati Uniti, è un ex ufficiale di Gheddafi incarcerato dall’ex leader libico. Ha un percorso secolare con una visione molto vicina all’Egitto, storico e forte alleato della Francia.

E sulla questione Eni?

Riguardo all’Eni ci sono molte illazioni. Si pensa che l’intervento francese, per esempio, sia dettato da un mero calcolo di conquista dei pozzi di petrolio, ma su questo ho fortissime perplessità. Se uno guarda alla divisione delle quote, delle raffinerie, è chiaro che la presenza francese è molto più limitata di quanto non si rappresenti. Il colosso petrolifero della Libia rimane l’Eni che ha accesso a pozzi, bacini estrattivi e di raffinazione. L’Italia è sempre stata legata allo status quo in Libia e quando la situazione è scappata di mano, la Francia ha avuto una forte presa di posizione dal punto di vista del principio dell’ordine secolare incarnato dalla figura di Haftar. L’Italia, che ha forti interessi petroliferi e storici nella Tripolitania è rimasta più ancorata a quello che si muove politicamente in questa regione, una regione da cui, per altro, partono molti dei migranti verso l’Italia. Da un punto di vista politico l’Italia, sotto il governo Conte, ha avuto parole più di apertura per la figura di Haftar. a differenza del governo Renzi.

Può Haftar arrivare al potere?

Il processo politico vede la figura di Haftar o il campo pro Haftar preponderante da un punto di vista numerico e territoriale. Negli ultimi mesi ha usato la retorica roboante della riconquista di Tripoli attraverso mani militari. Tuttavia questa cosa non è mai avvenuta. Non avendo la possibilità di prendere il potere nè politico e nè militare, perché politicamente la via è tortuosa e militarmente lo è ancora di più, ha avuto una strategia di sponda. Haftar ha lasciato che Sarraj venisse screditato dalle divisioni interne e dall’avanzata dello Stato Islamico. Tendiamo a rappresentare lo scontro come uno scontro tra due personalità, Sarraj e Haftar. In realtà l’uno e l’altro cercano di controllare e giocare rispetto al nemico numero uno che rimane lo Stato Islamico.

Qual è la posizione dell’Italia sulla questione libica?

C’è da dire che Il dossier libico è passato in diverse mani in questi anni. Il ministero dell’Interno ha acquisito un ruolo importante, una situazione certo atipica e solo italiana. Nonostante sia il ministero degli Esteri a occuparsi della partita diplomatica, è evidente che tra i due dicasteri sussistano delle tensioni. Il ministero degli Interni legge tutto filtrando la situazione attraverso la sola questione migrazioni e in chiave contenimento. Per esempio, Salvini aveva paventato l’ipotesi di aprire degli hotspot nel sud della Libia, senza rendersi conto di come sia un territorio inospitale nel mezzo del Sahara, attraversato da combattimenti tra diverse fazioni. Territorio in cui al Qaeda mantiene una forte presenza. Il problema è che leggiamo la Libia attraverso l’ordine di priorità che non è quello dei locali: migrazioni e terrorismo non sono le priorità. In cima alle preoccupazioni dei libici ci sono la divisione degli assetti di potere, l’approvvigionamento e il corso della vita».

La Cina ha un ruolo anche in Libia?

Il ruolo della Cina è lo stesso che ha e può potenzialmente avere nel resto dell’Africa. Un ruolo di smarcamento rispetto alle altre potenze che hanno una storia coloniale. La Cina offre una possibilità. perché porta a termine i suoi progetti di ricostruzione a prescindere dalle condizioni politiche. Costruisce strade, aeroporti, e porti, come quello di Bengasi. Un territorio dove sta agendo anche la Russia stampando moneta per Haftar. Mosca e Pechino sono quindi chiaramente i maggiori sponsor dell’opzione di ritorno a una sovranità statale retta da un uomo forte.