L’insegnante di Catania: «Non ho mai insegnato in una scuola a norma. Bussetti non sa di cosa parla»

Daniele Zito insegna informatica in un alberghiero alla periferia della città: «È impossibile nascondere differenze geografiche che permangono: per gli edifici, per il numero di alunni per classe, per le difficoltà a doversi relazionare con un disagio molto forte e sociale nelle periferie e nelle città»

Senza fondi «ci può essere tutto l'impegno del mondo, ma i risultati sono difficili da raggiungere». Daniele Zito insegna informatica in un alberghiero di Catania.


Dopo dieci anni di precariato, da due è di ruolo. E rimanda al mittente le parole del ministro dell'Istruzione Marco Bussetti. «Sono razziste. Da Lega di un tempo».


«Vi dovete impegnare forte. Niente fondi: lavoro, impegno e sacrificio», dice il Ministro.

«È impossibile nascondere differenze geografiche che permangono: per gli edifici, per il numero di alunni per classe, per le difficoltà a doversi relazionare con un disagio molto forte e sociale nelle periferie e nelle città. Ci sono indici di dispersione scolastica che sono assurdi: e Catania è ai livelli più alti. Ovviamente la situazione è molto complessa. Molto più complessa delle parole che rimanda il ministro Bussetti. Vedo delle dichiarazioni razziste, parole da Lega Nord di un tempo, e meno da Lega di Salvini premier».

Qual è la situazione nella scuola dove insegna?

«In questo momento insegno in un alberghiero in un quartiere periferico e difficile di Catania. Il quadro, qui, è molto complesso. La scuola è grande, sono cinque complessi per oltre tremila alunni. Tre di questi sono dentro quartieri a rischio, con storie e difficoltà tipiche della scuola in contesti geografici degradati, con tutto ciò che ne discende. È difficile insegnare, è difficile portare una classe da un anno all'altro senza perdere alunni. Questo al di là dell'impegno e del sacrificio che ci mettono alunni e ragazzi. La mia è una di quelle scuole che vengono scelte in alcuni casi per forza – perché è l'unica presente in quartiere -, e in altri perché viene vista come l'unica che può dare un possibile sbocco lavorativo».

Ed è così?

«Sì. Le classi vengono decimate di anno in anno, ma i ragazzi che arrivano fino alla fine fanno tanta attività di stage e tirocinio e quindi poi riescono a inserirsi in contesti lavorativi: il più delle volte fuori da Catania».

Quali sono le carenze?

«Basterebbe visitare le scuole per vedere le carenze strutturali: un problema che avranno anche al Nord ma che nel Sud è particolarmente sentito. Non penso di avere mai insegnato in una scuola a norma. Ne parliamo spesso in classe, degli edifici che potrebbero cadere: è una delle preoccupazioni principali dei ragazzi. Ti chiedi che fine farà quella voragine, se mai si aprirà del tutto».

E gli insegnanti?

«Abbiamo stipendi che non sono adeguati per l'attività che ricopriamo. Sono anni che chiediamo aumenti salariali: quello dell'anno scorso è stato esiguo, dopo anni di blocco contrattuale. Per quest'anno non si sa nulla».

Quanto guadagna?

«Prendo 1.500 euro netti al mese. Ho due figli. E ci sono colleghi che prendono di meno».

Da dove ripartire per la scuola?

«Credo che le riforme abbiano bisogno di soldi, tanti, altrimenti sono solo operazioni di cosmetica politica in vista delle elezioni. La scuola ha bisogno di essere ripensata e ha bisogno di politiche attive, non solo per l'edilizia ma anche per la lotta alla dispersione. Ti ritrovi in quartieri in cui i ragazzini spesso non vengono a scuola perché devono portare i soldi a casa. E diventano facile preda della mafia».

Rimandate al mittente l'invito del ministro a un maggiore impegno al sud?

«Ho lavorato sempre e solo con colleghi che hanno fatto il massimo. E quando dico il massimo parlo di situazioni assurde. Spesso senza essere pagati: per amore dei ragazzi facciamo tante ore di lavoro non retribuite in più. Non vedo cosa potremmo fare di più. In quelle dichiarazioni, in quell'astio, quella stizza, vedo qualcosa di preciso».

Cosa?

«Qualcosa che appartiene a un certo passato della Lega. E penso al progetto di autonomia regionale proposto da Veneto e Lombardia cui si dovrebbe collegare anche l'Emilia Romagna: un progetto pericoloso, perché per le tante materie per cui richiedono autonomia c'è anche l'istruzione. Il che potrebbe manifestarsi in salari diversi e vincoli sui trasferimenti. Per effetto della Buona Scuola ci sono tanti miei colleghi disseminati nel Nord che fanno continuamente domanda di trasferimento. Vallo a spiegare a un insegnante finito in Veneto che non potrà più tornare al Sud. O anche che per fare lo stesso lavoro al Nord prendono due o trecento euro in più».

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