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I compagni non sono vaccinati, lui non può andare a scuola. La lotta di Fabio contro leucemia e indifferenza

23 Febbraio 2019 - 18:36 Valerio Mammone
L'intervista alla mamma del bambino che non può andare a scuola perché il 30% degli alunni non sono in regola con i vaccini: «Oggi mio figlio sta bene, domani non lo so: chi non mi aiuta, lo sta privando del tempo in cui potrebbe giocare e divertirsi»

Fabio ha già visto tutto quello che un bambino di 7 anni e mezzo non dovrebbe mai vedere: la malattia, l’indifferenza, la burocrazia, l’egoismo di chi dice: «Mio figlio non lo vaccino, anche se il tuo è immunodepresso e rischia di morire». La leucemia è arrivata ad aprile, quando di anni non ne aveva nemmeno sette, e ora è in remissione: dopo mesi di isolamento Fabio potrebbe tornare a scuola, ricominciare a studiare e a giocare, «lui ha bisogno di stare con i compagni, perché sta sempre con me, col fratellino e col papà», dice la mamma Sara.

Ma i cancelli della scuola – quartiere San Giovanni, Roma – per lui, sono rimasti chiusi: Fabio è immunodepresso, nella sua scuola ci sono poco più di 100 bambini e 24 non sono in regola con i vaccini, 5 soltanto nella sua classe. «Il morbillo per mio figlio potrebbe essere letale», spiega Sara, e lo ha detto anche alla direttrice della scuola, a novembre e poi ancora all’inizio di febbraio, ma la risposta è sempre stata la stessa: «Non posso fare niente, ma entro marzo la situazione dovrebbe risolversi perché scade il termine per fare tutte le vaccinazioni». A marzo Fabio come starà? «La malattia è in remissione – dice Sara – ma mio figlio non è guarito. Ora dovrà fare due anni di mantenimento, poi bisognerà aspettare altri cinque anni per poter gridare finalmente vittoria. Questa è la procedura per i pazienti oncologici». 

Oggi, Fabio sta bene, domani chissà: «Chi non mi aiuta – dice Sara – sta togliendo tempo a mio figlio. Fabio sta passando altro tempo da solo e isolato, quando invece potrebbe stare, con le dovute accortezze, a giocare, a divertirsi». Se gli altri genitori collaborassero, se ognuno si facesse carico di una parte di questo dramma familiare, Fabio potrebbe tornare a scuola. Ma l’indifferenza è un osso duro, quanto la malattia: «Ho chiesto agli altri genitori di mandarmi i certificati vaccinali dei figli: molte mamme l’hanno fatto, alcune no, mi hanno detto che avrei violato la privacy. Allora ho chiesto di farmi inviare un’email dai loro pediatri, ma niente, nessuno mi ha risposto». 

Oltre al diritto alla salute, a Fabio è stato negato anche il diritto all’istruzione: «Mio figlio dovrebbe avere a disposizione un insegnante a domicilio per 20 ore al mese: abbiamo fatto richiesta alla scuola, il progetto è stato approvato, ma il provveditorato non ha stanziato i fondi. C’è solo una maestra, la maestra Emma, che viene di sua volontà, due ore a settimana, ogni martedì, sfruttando le ore di co-presenza che ha con l’altra insegnante di matematica». «Fabio – dice ancora la mamma – ha bisogno di un insegnante che lo aiuti a recuperare tutto il tempo perso. Ma è possibile che con tutto quello che ha e abbiamo passato, dobbiamo scontrarci con questi muri»? 

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