Chi è Cristina Cattaneo

Da Yara Gambirasio a Imane Fadil, passando per i migranti “senza nome” morti nelle traversate. Cristina Cattaneo è l’anatomopatologa più famosa d’Italia: «Do un nome ai morti per salvare i vivi»

La luce fioca e blu. I tavoli d’acciaio. L’anatomopatologo che, per definizione, non si lascia impressionare da niente e da nessuno. È difficile restituire un po’ di umanità allo scenario tetro di una sala mortuaria. Ma Cristina Cattaneo ci è riuscita. Trovare le cause della morte di una persona, darle un nome e cognome – ha detto in più di un’intervista – non significa solo restituirle la dignità che merita, ma anche prendersi cura dei suoi cari e della loro salute mentale. «Il limbo porta con sé disturbi psichiatrici tremendi».


In quel limbo, in questo momento, c’è la famiglia di Imane Fadil, la modella che ha testimoniato nel processo Ruby, morta il primo marzo scorso in circostanze sospette all’ospedale Humanitas di Milano. L’autopsia si è svolta oggi, 26 marzo, e dovrà chiarire se la ragazza sia morta per cause naturali (una malattia rara, che i medici non sono riusciti a individuare) o per avvelenamento, ipotesi che col passare delle ore sembra sempre meno probabile. Sarà Cristina Cattaneo a stabilire in quale scenario collocare questa storia: se in quello della spy story o in quello di una morte naturale.


Da Yara Gambirasio a Elisa Claps

Professore ordinario di medicina legale all’Università Statale di Milano, direttrice del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), Cattaneo ha 55 anni e una lunga carriera legata ad alcuni casi di cronaca che hanno avuto grande eco mediatica. Quello di Imane Fadil è solo l’ultimo di una lunga serie. Portava la sua firma larelazione di 352 pagine sull’omicidio di Yara Gambirasio, la bambina di Brembate di Sopra, vicino a Bergamo, trovata morta in un campo a Chignolo d’Isola nel novembre del 2010.

Dal migrante con la pagella in tasca a Imane Fadil: chi è Cristina Cattaneo, il volto umano della medicina legale foto 1

Fonte: Ansa | L’anatomopatologa Cristina Cattaneo, durante i rilievi sul campo di Chignolo d’Isola, dove è stato trovato il corpo di Yara Gambirasio

Incrociando i rilievi sul corpo con nozioni di botanica ed entomologia, Cattaneo riuscì a stabilire che Yara era stata uccisa nello stesso luogo dove era stata ritrovata: le tracce di calce trovate sul suo corpo aprirono la strada all’ipotesi che l’assassino potesse provenire dal mondo dell’edilizia, come poi è accaduto.

«Il volto di Yara ce l’ho sempre davanti agli occhi. E l’indagine tuttora aperta mi tormenta la mente ogni giorno – disse Cattaneo dopo la soluzione del caso – Io ho fatto la mia parte e ho consegnato la relazione, ma il suo ricordo è sempre vivo».

Nel curriculum dell’anatomopatologa c’è anche un cold case riaperto nel luglio del 2010: l’omicidio di Elisa Claps, una ragazza di Potenza scomparsa la mattina del 12 settembre 1993. Il suo corpo è stato ritrovato 17 anni dopo, il 17 marzo del 2010, nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza.

Sul suo corpo furono trovati segni e dettagli identici a quelli individuati su un’altra vittima, uccisa a migliaia di chilometri di distanza: la sarta Heather Barnett, trovata morta a Bournemouth, in Inghilterra, il 12 giugno 2002. Il modus operandi lasciava intuire che dietro i due omicidi ci fosse la stessa mano: quella di Danilo Restivo, già condannato all’ergastolo per l’omicidio della sarta e poi a 30 anni per l’omicidio Claps.

Dai femminicidi ai migranti morti in mare

Il 18 aprile 2015 un barcone con a bordo mille migranti naufraga nel Canale di Sicilia. I dispersi sono tra i 700 e 900. Le vittime accertate 58. Tra queste c’è un bambino del Mali, età stimata 14 anni. Cucita nella sua giacca c’è una pagella con i voti presi a scuola. Voleva dimostrare all’Europa di essere bravo. La storia del bambino senza nome l’ha raccontata la stessa Cattaneo nel libro Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo.

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Un libro di cui in questi mesi ha parlato più volte e sempre con parole molto toccanti. L’ultima a Di Martedì, su La7. «Identificare i morti – ha detto Cattaneo a Giovanni Floris – è fondamentale per i vivi: pensate alla salute mentale di una madre che non sa se il figlio è vivo o è morto. O agli orfani che, senza un certificato di morte della mamma e del papà, non riescono a ricongiungersi coi loro cari in Europa».

Il progetto per il riconoscimento delle vittime, invidiato da tutta Europa

Il progetto finalizzato a dare un’identità ai migranti morti in mare è nato il 3 ottobre 2013 alle 4 e mezza del mattino, quando un barcone con a bordo 368 migranti naufragò al largo di Lampedusa. «Quel disastro – ha raccontato Cattaneo – fece partire uno studio pilota per capire se fosse possibile ritrovare i parenti di questi morti».

Un progetto tutto italiano, ma non l’unico. L’altro si chiama RiSc (ricerca scomparsi) e anche in questo caso il contributo dell’anatomopatologa è stato fondamentale. Si tratta, in sostanza, di una banca dati contenente i “segni particolari” dei cadaveri non identificati. Queste informazioni vengono poi messe in relazione con le denunce di scomparsa.

«La tecnica sperimentata dalla professoressa Cattaneo – ha scritto nel 2017 il Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, Michele Penta – si è dimostrata vincente e ha consentito di identificare le vittime che non era stato possibile riconoscere nell’immediato.

L’imponente e faticosa attività di riconoscimento dei corpi ha meritato anche l’attenzione della prestigiosa rivista scientifica The Lancet, considerata tra le prime cinque riviste mediche internazionali, con la pubblicazione di un articolo intitolato “La battaglia dell’Italia per identificare i migranti morti”». Una battaglia giusta, soprattutto per chi resta.

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