Quando i ministri giurano al Quirinale, lo fanno sulla Costituzione. Quel suo articolo 1, per cui siamo una Repubblica democratica in cui la sovranità appartiene al popolo, può sembrare a un bambino un'ovvietà, come parlare la stessa lingua o avere la bandiera tricolore e l'inno di Mameli. Quando andrà a scuola quel bambino imparerà ciò che nessuno, e a maggior ragione i nostri ministri, può negare: che fino al 25 aprile l'Italia non era una Repubblica, non era democratica, e il popolo non aveva nessun diritto di scegliere i suoi rappresentanti.
Non aveva liberi partiti, liberi sindacati, libera stampa. Prima di quel 25 aprile, per sette anni, furono operanti le leggi razziali. Prima di quel 25 aprile, per cinque anni, il nostro paese partecipò alla guerra a fianco della Germania nazista, e la perse. Prima di quel 25 aprile il fascismo perseguitò per vent'anni tutti i suoi avversari, imprigionandoli e confinandoli, e a volte ammazzandoli.
Quel 25 aprile 1945 ci regalò un bene inestimabile, la pace, alla fine di un conflitto che nell'ultima parte era stato anche guerra civile. La pace e la democrazia sono un bene di tutti, hanno permesso per decenni di vivere da pari, liberi tra liberi, a chi aveva combattuto tra i partigiani e a chi lo aveva fatto per la repubblica di Salò, a chi era stato vile e a chi era sopravvissuto a Auschwitz.
Tutto questo è stato possibile perché la guerra era stata vinta da chi era venuto a liberarci dai nazifascisti, gli angloamericani, supportati da quegli italiani che scelsero la lotta partigiana, e alleati di quella Russia che fermò Hitler a est. Con i decenni la stanchezza della politica fondata sui partiti ha portato con sé nuove tentazioni nostalgiche, e riproposto il mito dell'uomo forte, del "quando c'era lui", insieme a narrazioni controfattuali del periodo fascista. Che era stato un fenomeno italiano, voluto e appoggiato da milioni di italiani, su valori di patria, di ordine e di tradizioni che sarebbe stupido trattare come imposizioni calate dall'alto di una dittatura.
Ma dittatura fu, appunto, e violenta, e tragica non solo nella fase finale. Fino al 25 aprile, il Natale dell'Italia libera: e se a qualcuno non piace abbia per una volta il coraggio di dirlo, e di spiegare il perché. Se anche per assurdo, come ha detto pochi giorni fa il ministro Salvini, la celebrazione della Liberazione si fosse ridotta a un derby tra comunisti e fascisti, non cambierebbe di una virgola il valore di quella data storica: e sarebbe bello festeggiarla tutti insieme, noi che ci crediamo, qualunque sia la nostra idea politica. E gli altri che rosicano? Un bacione