Europee, il Regno Unito al voto nel caos. Vincerà ancora la Brexit?

Se oggi si votasse un secondo referendum avrebbe più probabilità di vincere il remain. Ma il margine sarebbe comunque piccolo e il Paese rimane diviso

Ne è passata d’acqua sotto il Ponte di Westminster dal giugno del 2016 quando il Regno Unito si divise sulla Brexit e poco più della metà degli elettori – il 51,9 percento – decise di volersi separare dall’Unione europea. Le motivazioni erano diverse, alcune familiari – riprendersi il controllo dei propri confini per limitare l’immigrazione, emanciparsi dalla burocrazia centralizzante di Bruxelles – altre meno, come la presunta incompatibilità della cultura anglosassone con quella europea.


Da allora David Cameron ha dato le dimissioni e gli è subentrata Theresa May a capo del partito conservatore e del Governo; Jeremy Corbyn è diventato il leader dei laburisti, portando il partito più a sinistra, il parlamento britannico ha bocciato per ben tre volte l’accordo negoziato da May per l’uscita del Regno Unito dall’Ue; la Brexit è stata posticipata due volte (attualmente è prevista per il 31 ottobre 2019); Nigel Farage ha fondato un nuovo partito (il Brexit Party), che secondo i sondaggi sarebbe oggi il primo partito ma, contemporaneamente, il Paese si è parzialmente riavvicinato all’Unione europee.


Se oggi si votasse in un secondo referendum avrebbe più probabilità di vincere il “Sì” alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. Ma il margine sarebbe comunque piccolo e il Paese rimane diviso. Il voto alle europee – oltre a segnalare se e di quanto si sia spostata l’asticella pro o contro la Brexit – servirà anche a capire come sono cambiate le divisioni nel Regno non più così unito.

Vista l’incertezza in cui continua a navigare l’esecutivo di Theresa May – con le dimissioni della ministra Andrea Leadsom, insoddisfatta dal nuovo accordo sulla Brexit presentato dalla stessa May in Parlamento il 22 maggio, aumenta il numero di chi chiede le dimissioni della Premier – ciò che è certo è che ogni scarto nel voto verrà usata dai diversi schieramenti per portare avanti la propria idea di Brexit, ma anche di Governo, in vista non soltanto di una nuova consultazione sull’accordo, ma anche di eventuali elezioni nazionali.

ANSA / David Cameron, ex Primo ministro britannico e leader dei Conservatori, al Governo durante il referendum sulla Brexit

Il referendum del 2016

Il voto referendario che ha diviso il Paese lo ha fatto non soltanto geograficamente ma anche per età, classe o ceto sociale, genere ed etnia. Una mappatura piuttosto rappresentativa del Paese, vista l’alta affluenza: 72 percento per un totale di circa 30 milioni di persone. Di base a votare per il sì erano stati sopratutto cittadini più giovani, di classe media, che vantavano un più alto livello di istruzione (e quindi una maggiore facilità d’inserimento nel mondo del lavoro).

Tra chi ha votato “no” invece erano presenti più uomini di mezza o età avanzata, con un tasso di istruzione inferiore e un redditto più basso. Un gruppo che più volte – e in altri contesti, come nel caso delle elezioni americane del 2016 che hanno portato alla vittoria Donald Trump, sono stati battezzati “i dimenticati” della globalizzazione, ovvero coloro che avrebbero più sofferto a causa dei cambiamenti di un mondo sempre più connesso, dove merci, servizi, soldi ma anche idee e persone viaggiano e si muovono con maggiore frequenza, anche se non sempre con maggiore facilità.

Dati del rapporto YouGov sul voto del referendum 2016
  • Il Referendum spaccò il Regno Unito in lungo e in largo: Inghilterra e Galles votarono per uscire con il 53 e il 52 percento delle preferenze, mentre in Scozia e nell’Irlanda del Nord vinse il remain rispettivamente con il 62 e il 55 percento;
  • In Inghilterra il Leave vinse nelle città del nord del Paese, riscuotendo maggior consenso non solo nel nord-est e ma anche nei Midlands. A Londra invece trionfò, con quasi il 60 percento delle preferenze, il remain;
  • Gli elettori del partito laburista hanno votato sopratutto per rimanere nell’Unione europea (65%), i conservatori invece per uscire (61%);
  • Tra le donne la maggioranza ha votato per rimanere nell’Unione europea. Il margine è stato molto piccolo – 51 a 49 – ma aumentava notevolmente – a undici punti percentuali – tra le donne in età tra i 35 e i 54 anni. Tra le persone di “etnica bianca” il 54% votò a favore dell’uscita dall’Ue, mentre il 69% di individui di “etnia nera o di minoranza” votò per il remain.

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