Sono le 16 di venerdì 17 maggio, e il filosofo ed economista indiano Amartya Sen sta arrivando alle Scuderie per discutere di finanza etica e sviluppo sostenibile. Al centro di piazza Verdi, uno dei luoghi più vivaci di Bologna, decine di giovani under 35 si preparano ad accogliere il premio Nobel per l’economia.
Qualcuno ha preparato uno stand pieno di libri sull’economia alternativa. Altri stanno piegando pile di magliette a sostegno di Mediterranea Saving Humans, l’Ong italiana che si occupa di soccorso in mare ai migranti. Qualcuno fa teorie sul finale di Game of Thrones mentre gioca al Monopoli della finanza etica allestito al centro della piazza. Ma appena la Mercedes nera arriva all’ingresso delle Scuderie, tutti si fermano. Una persona al telefono dice: «Non puoi immaginare chi ho davanti».
L’economista e filosofo indiano, professore all’università di Harvard, è padre (con Martha Nussbaum) dell’approccio delle capacità, un modello solidale e sostenibile volto a ripensare l’idea di crescita economica. Tra i suoi saggi più noti ci sono Etica ed economia (Laterza, 1987), Lo sviluppo è libertà (Mondadori,1999), L’idea di giustizia (Mondadori, 2009).
«Una rivoluzione che ha preso le mosse dalle potenzialità che le persone possono esprimere e le opportunità che hanno per svilupparle», ha spiegato Ugo Biggeri, fondatore di Banca Etica e organizzatore dell’evento “Venti di Futuro” in occasione dei 20 anni dell’ente. Come tornare a parlare di crescita, uguaglianza, sostenibilità e opportunità alle porte delle elezioni europee?
La crisi del 2008 ha provocato forti diseguaglianze generazionali che resistono ancora oggi. Come può l’Europa tornare a dare opportunità di crescita ai giovani?
«C’è bisogno intanto che i Paesi europei si rendano conto che la disoccupazione giovanile e la diseguaglianza generazionale sono problemi che vanno affrontati. Privando i giovani del reddito, li si priva tanto del rispetto verso sé stessi quanto di un ruolo e una posizione all’interno della società. Che non è una questione da poco.
Da questo punto di vista hanno un ruolo importante sia il settore pubblico che quello privato. Perché quando si è davanti a una crescita così bassa come accade in Italia – dove nonostante le stime parlino di un miglioramento dello 0,2%, la percentuale rimane comunque molto bassa – allora la questione riguarda entrambi i settori. Bisogna guardare alla crescita economica per ridurre la disoccupazione, produrre entrate, e dare alle persone una dose abbondante di autostima».
Come può la politica contribuire alla crescita economica di un Paese?
«Per crescere economicamente c’è bisogno che la democrazia liberale metta in campo tutte le sue risorse: su tutto fare riforme che guardino a una maggiore scolarizzazione e formazione. Il che include investire sull’innovazione e dare forma a un mercato più sano. Da quando l’Italia è una democrazia ha intrapreso molti tra questi percorsi, ma ora c’è bisogno che li completi. Non importa quale tipo di coalizione sia al governo, restano cose importanti a cui mirare. Perché l’educazione è il presupposto di ogni discorso sulla sostenibilità».
Quindi bisogna aver fiducia nella democrazia?
«Un sistema democratico può mirare a una crescita economica migliore, perché permette che le informazione siano divulgate maggiormente che negli altri sistemi. Un esempio importante è dato dalla riduzione delle differenza tra le donne e gli uomini: è stato il dibattito pubblico a far sì che le cose migliorassero
Quello che fa la democrazia è far capire a tutti che il cambiamento è alla portata di tutti. C’è solo bisogno di parlare, argomentare, discutere. E la democrazia dà a tutti la possibilità di farlo. Ora in molti paesi come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, ma anche il vostro, sta salendo la tentazione di allontanarsi dalla democrazia. Ma è importante ricordarsi che rendere un Paese più autoritario riduce la capacità dei cittadini comuni di fare davvero la differenza nelle questioni sociali. Solo con la democrazia può esserci libertà di espressione, di informazione e la capacità di parlare senza paura».
Teme che le elezioni europee possano mettere a rischio la democrazia?
«Spero che non si vada in questa direzione, ma mi posso vedere che la tentazione è parecchia. Molto è da attribuire a una gestione sbagliata della crisi del 2008. La Banca centrale europea su tutte non ha dato un esempio di leadership ottimale a quei tempi: ha insistito su un’austerity di cui non c’era bisogno. Ma anche la moneta unica non è stata un’ottima idea, a parer mio. Nonostante ciò bisogna comunque tentare di promuovere una maggior collaborazione tra Paesi e a una coordinazione più solida.
Perché l’economia deve guardare ai bisogni delle persone, e l’austerity non ha fatto altro che peggiorare l’occupazione e far calare il Pil in diversi Paesi. Non sarà ora che cambieremo le cose, perché ad esempio nessuno rinuncerà all’Euro. Ma dobbiamo ricordarci che, a prescindere dalla moneta unica, dobbiamo coltivare una flessibilità che permetta a tutti i Paesi di seguire le loro politiche per la crescita».
L’ondata sovranista di queste elezioni potrebbe minare definitivamente l’unità europea?
«C’è una tendenza in atto a cercare di uscire fuori dall’Europa, come è accaduto in Gran Bretagna, ma presto si capirà che è un errore. Spero che durante le elezioni europee sarà data all’Europa l’importanza che merita. Se ci sono errori è normale che vadano corretti, ma l’Europa e la strada giusta. L’Italia ha sempre avuto ruolo importante in Europa: se si piegherà ai desideri di Marine Le Pen o Viktor Orbán sarà un problema per tutti».
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