Hilda Nakabuye, la Greta Thunberg dell’Uganda

Ogni venerdì, la studentessa marina l’università per protestare contro l’inquinamento del lago Vittoria

Sul lago Vittoria, il più grande del continente africano, è sempre più difficile pescare. A pochi metri dalle rive sommerse di sacchetti di plastica, l’acqua del lago viene pompata e poi distribuita a tutta la città di Kampala. A pochi chilometri di distanza viene invece rilasciato il contenuto delle fognature della capitale. «Il colore dell’acqua è cambiato», nota Hilda Nakabuye, studentessa ventiduenne dell’università internazionale di Kampala, in un’intervista a Le Monde.


L’emergenza ambientale di cui si fa portavoce è chiara: l’Uganda non ha sbocchi sul mare, le risorse d’acqua sono fondamentali. In più il lago Victoria è la fonte di tanti grandi corsi d’acqua, come il Nilo; il suo inquinamento può avere delle gravi ripercussioni anche sulle popolazioni circostanti.


L’attivismo di Nakabuye inizia nel 2017 quando entra all’università, grazie a una borsa di studio che le permette di venire in contatto con l’associazione Green Campaign Africa. Rapidamente si rende conto che l’Uganda è tra gli ultimi Paesi al mondo in quanto emissioni, ma tra i primi a subire le conseguenze dell’inquinamento.

Altamente dipendente dal primario, il Paese non può sopportare che i raccolti vengano degradati dalle oscillazioni meteorologiche o le temperature estreme. «La popolazione ugandese prende atto delle conseguenze di un cambiamento di cui non conosce la causa», afferma la ragazza.

Quando Nakabuye sente parlare dello sciopero climatico di Greta Thunberg, inizia anche lei a marinare le lezioni, ogni venerdì. «L’Uganda e la Svezia sono paesi molto diversi, ma la nostra battaglia è la stessa: convincere i governi a dichiarare lo Stato di emergenza climatica».

Invece di andare a lezione, la giovane cammina con striscioni in centro città, organizza raccolte collettive dei rifiuti sulle rive del lago, poi documenta le sue azioni su un blog, «Striker Diaries», «Diari di una scioperante».

In Uganda, paese povero e con un alto tasso di corruzione, manifestare è più difficile che in Svezia. Per la protesta mondiale del 24 maggio, gli attivisti Green Campaign Africa stanno faticando a ottenere l’autorizzazione di raggruppare circa 300 persone. Nel Paese africano, più di tre persone riunite possono essere immediatamente considerate «associazione illecita».

Alla studentessa, però, più delle intimidazioni politiche fanno paura le inondazioni, e la siccità che da un anno colpisce in modo inconsueto il suo aese. «Non è politica, si tratta della nostra vita, della vita del nostro pianeta», spiega la ragazza, «Bisogna però parlare con i politici perché sono loro che fanno le leggi a cui dobbiamo obbedire. Devono capire quali sono le politiche che vogliamo e quelle che non vogliamo».