Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil),il lavoro minorile coinvolgerebbe ancora circa 152 milioni di persone, 73 milioni delle quali lavorano in condizioni pericolose.
Nonostante l’elevata crescita economica e i grandi miglioramenti in materia di istruzione e sviluppo, Paesi come ad esempio la Cina, l’India, il Bangladesh, il Vietnam e la Cambogia hanno compiuto scarsi progressi nell’affrontare il tema dei minorenni costretti a lavorare.
Nel report dell’Oil si legge che i paesi che forniscono beni all’Occidente sono ancora oggi ben lontani dal superare le problematiche legate al lavoro minorile. I ricercatori, inoltre, hanno anche espresso preoccupazione per il traffico e lo sfruttamento sessuale commerciale dei bambini.
È il caso, ad esempio, del Venezuela, che è sceso di 80 posizioni nell’indice dal 2016. A livello globale, poi, 27 paesi – con una popolazione totale di 900 milioni di persone – sono stati classificati come a “rischio estremo” di lavoro minorile. Altri 82 paesi sono stati classificati nell’indice come “ad alto rischio” nell’indice, tra cui la Cina (al 98° posto) e l’India (47°).
Il tasso di rischio fa riferimento agli incidenti in cui sono stati violati i trattati internazionali sul lavoro minorile. A causa della natura nascosta di questi casi, i ricercatori hanno stimato la frequenza esaminando una serie di fonti Onu, Ilo e Ong.
L’Onu mira a porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025. Per farlo, ha introdotto misure preventive per evitare il dilagare del fenomeno, come i sistemi di trasferimento di denaro per i bambini che devono lavorare a causa delle condizioni economiche delle famiglie.
L’Oil ha stabilito l’età minima per lavorare a 15 anni. I paesi più poveri possono usare 14 anni come età minima, ma i bambini non possono essere coinvolti in lavori pericolosi prima dei 18 anni.
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