Era stata installata ieri, 17 giugno. Ora i consiglieri della VI circoscrizione vogliono istallarne una nuova: «L’idea è quella di dare il segnale che anche se la distruggono noi la rimetteremo mille volte»
È rimasta intatta per 22 ore, la targa dedicata a Peppino Impastato, il giornalista ucciso dalla mafia nel 1978. Era stata installata ieri, 17 giugno, nel quartiere Cep, e il presidente della VI circoscrizione, Michele Maraventano, aveva celebrato l’iniziativa su Facebook: «Perché rimanga viva la memoria dei giusti».
La targa è stata vandalizzata, distrutta, manca tutta la parte centrale. A dare l’allarme la consigliera del M5S Daniela Tumbarello che ha annunciato la convocazione di un consiglio di circoscrizione straordinario per discutere dell’acquisizione di una nuova targa da mettere accanto a quella distrutta. «L’idea è quella di dare il segnale che anche se la distruggono noi la rimetteremo mille volte», ha detto Tumbarello al Giornale di Sicilia.
Anche la deputata del M5S Roberta Alaimo ha commentato l’accaduto su Facebook: «È ancora lungo il percorso di crescita culturale da portare avanti e per combattere realmente la mafia dobbiamo impegnarci tutti affinché i cittadini reagiscano davanti a eventi del genere».
«Era stata messa ieri, non si sa se è stato puro vandalismo o illegalità, ma le due cose coincidono, è un atto vergognoso», ha detto Maraventano. La targa è stata posta in una villetta già dedicata all’attivista di Cinisi, ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978. Una villetta che però è stata abbandonata per anni e di cui i consiglieri di circoscrizione hanno avviato il recupero, l’installazione era parte del progetto.
Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso della Sea Watch per contestare il divieto di ingresso in acque territoriali e il «no allo sbarco» della Sea Watch 3 che si trova a sud di Lampedusa con a bordo 43 migranti soccorsi una settimana fa. A renderlo noto è stata l’agenzia Ansa, citando fonti del Viminale e non, come da prassi, il Tar.
I legali della Sea Watch hanno riferito a Open di non aver ricevuto per il momento alcuna notifica dal Tar e di non essere a conoscenza per via diretta dell’esito del ricorso, quindi neppure del decreto con le motivazioni in base alle quali il ricorso è stato rigettato.
Per Antonello Ciervo, avvocato legale della Sea Watch, «è evidente che, in uno stato di diritto, che sia il Viminale a comunicare al mondo che ha vinto la causa contro la Sea Watch rappresenta un problema per la separazione dei poteri, perché l’unico che può dare questa comunicazione è il Tar».
Inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
La Sea Watch è ancora ferma in acque internazionali, a 16 miglia da Lampedusa, ma è già sotto inchiesta. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo al momento contro ignoti. Il reato ipotizzato è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
L’indagine di Agrigento è legata allo sbarco a Lampedusa di 10 persone dalla nave: donne, bambini e uomini con gravi problemi di salute. La notizia dell’inchiesta arriva a poche ore dal monito del Consiglio d’Europa che ha chiesto di «dare subito un porto a Sea Watch».
«I migranti salvati in mare non dovrebbero mai essere sbarcati in Libia, perché i fatti dimostrano che non è un Paese sicuro», ha detto Dunja Mijatovic, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Mijatovic ha espresso preoccupazione «per l’atteggiamento del governo italiano nei confronti delle ong che conducono operazioni di salvataggio nel Mediterraneo».
Il commissario si riferisce alla posizione di Matteo Salvini che ha subito negato un porto a Sea Watch, applicando per la prima volta il decreto di sicurezza bis e invitando la nave ad andare in Libia. Non si è fatta attendere la risposta del ministro dell’Interno.
«In Italia per quello che mi riguarda e col mio permesso non arriva nessuno, possono mandare i caschi blu dell’Onu, gli ispettori del consiglio d’Europa, il commissario Basettoni, Pippo, Pluto e i Fantastici 4. Barchini e barconi non ne arrivano», ha detto il vicepremier leghista a margine dell’assemblea di Confartigianato.
La guardia di finanza «nel cuore della notte»
La Sea Watch 3 è stata raggiunta dai militari della Guardia di Finanza. Come riporta su Twitter la stessa Ong: «Questa notte la Guardia di Finanza ha fatto visita, per 2 volte, alla SeaWatch3 per notificare il Decreto Sicurezza bis alla nostra comandante. Non si comprende la necessità di farlo nel cuore della notte. Restiamo al largo di Lampedusa e reiteriamo la richiesta di sbarco».
Dieci dei 53 migranti a bordo della Sea Watch, ferma al limite delle acque territoriali italiane, hanno avuto l’autorizzazione a sbarcare a Lampedusa. Lo sbarco è stato autorizzato dal Viminale per 8 persone, perché necessitano di cure mediche. Con loro, anche 2 accompagnatori.
Nel dettaglio, si tratta di tre minori, tre donne (di cui due incinte), due accompagnatori, due uomini malati. I migranti verranno trasferiti a Lampedusa con una motovedetta della guardia costiera.
«Per me può rimanere lì per mesi»
«Sono stati autorizzati a scendere bimbi, donne incinte e malati. Io voglio il bene di tutti ma per quello che riguarda questa nave fuorilegge per me può stare lì per settimane, per mesi, fino a Capodanno». Queste le parole del ministro dell’Interno Matteo Salvini dopo lo sbarco a Lampedusa di 10 migranti della Sea Watch.
«Ci sono persone a bordo per scelta di questi delinquenti, per scelta di questi sequestratori di esseri umani – ha detto Salvini -. Bambini, donne incinte e malati scendono, ma questi delinquenti risponderanno alle loro coscienze di eventuali problemi. Dovevano andare in Libia, potevano andare in Tunisia o a Malta: sono arrivati in Italia. L’hanno chiesto loro il porto alla Libia, la Libia lo ha dato e loro hanno disobbedito».
A 15 miglia da Lampedusa
La nave della ong Sea Watch rimane comunque ferma 15 miglia a largo di Lampedusa. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha comunicato di aver: «Firmato il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave SeaWatch3 nelle acque italiane, come previsto dal nuovo decreto sicurezza. Ora il documento sarà alla firma dei colleghi ai Trasporti e alla Difesa: stop ai complici di scafisti e trafficanti».
L’alternativa per la nave della ong resterebbe a questo punto la Libia, che aveva già proposto un proprio porto. Un’opzione che però trova la contrarietà tanto dalla Commissione Ue, quanto dalle varie agenzie delle Nazioni Unite. Una linea condivisa dalla SeaWatch: «La Libia non è riconosciuta come porto sicuro a livello internazionale – ha detto in un video la portavoce Giorgia Linardi – Lo dicono la Missione ONU in Libia UNSMIL, l’agenzia ONU per i rifugiati UNHCR, la Commissione Europea e il Ministero degli Esteri. Se riportassimo i naufraghi in Libia, commetteremmo un respingimento collettivo: crimine per cui l’Italia è già stata condannata».
La nave ong Sea Watch, con a bordo 53 migranti, ieri venerdì 14 giugno ha nuovamente cambiato rotta, dirigendosi verso Lampedusa. Si trova a 15 miglia dall’isola siciliana. A riferirlo è la stessa Sea Watch tramite il suo profilo Twitter. L’isola è il porto sicuro più vicino alla posizione di soccorso. Nelle scorse ore, si è rifiutata di consegnare i migranti alla Libia, poi si è diretta verso Malta e infine ha fatto rotta verso l’Italia.
🔵 Avendo ricevuto come unica indicazione il porto di un Paese in guerra, la #SeaWatch ha fatto rotta nord, verso il porto sicuro più vicino alla posizione del soccorso: Lampedusa.
In un tweet pubblicato in precedenza, la ong ha fatto sapere di essere ancora in mare «senza un porto sicuro assegnato, con a bordo 53 persone di cui 5 minori, 2 molto piccoli». «Davvero un ministro della Repubblica italiana – ha detto rivolgendosi a Salvini – vuole costringerci a portare queste persone in un Paese in guerra? Davvero l’Ue permette una tale violazione dei diritti umani?», si chiede la ong.
La risposta di Salvini
La Sea Watch «sta andando avanti e indietro, ha dimostrato per l’ennesima volta che opera al di fuori della legge», ha detto Matteo Salvini. «Mi domando perché qualcuno in Procura non abbia confermato il sequestro e non sia andato avanti con le indagini, perché mi sembra evidente che non rispettano la legge e che favoriscano nei fatti i trafficanti di esseri umani».
La nave ong è tornata recentemente in mare dopo il sequestro, e il successivo dissequestro, della procura di Agrigento, guidata dal procuratore capo Luigi Patronaggio, il magistrato che ha indagato Salvini per il caso Diciotti. Il sequestro permise ai 47 migranti che erano a bordo di scendere dalla nave ong.
Il caso del divieto di sbarco imposto dal Viminale per la Sea Watch 3 è ora sotto indagine da parte della procura di Palermo. La vicenda è stata inserita anche nei fascicoli della procure di Catania e Agrigento, che indagano per fatti precedenti. E Salvini non ha dimenticato.
«Se la sequestra e dissequestra un’altra volta – dice – io vado a piedi ad Agrigento a farmi spiegare perché. Una va bene, due va bene, la terza volta no». Per il ministro, la nave avrebbe dovuto obbedire all’indicazione che ha ricevuto dalla Libia, Paese che stava coordinando il soccorso: far sbarcare i naufraghi a Tripoli. Ma l’Unione europea gli ha ricordato che la Libia non è un porto sicuro.
«Tutte le navi con bandiera europea sono obbligate a rispettare il diritto internazionale e il diritto sulla ricerca e salvataggio in mare che comporta la necessita’ di portare delle persone in un posto o posto sicuro. La Commissione ha sempre detto che queste condizioni non si ritrovano in Libia», ha detto in giornata una portavoce della Commissione Ue.
#SeaWatch rimane senza un porto SICURO assegnato con a bordo 53 persone di cui 5 minori, 2 molto piccoli.
Davvero un Ministro della Repubblica Italiana vuole costringerci a portare queste persone in un Paese in guerra? Davvero l’UE permette una tale violazione dei diritti umani? pic.twitter.com/DrnMop2Vdn
Nel tardo pomeriggio di ieri – 13 giugno – il ministro dell’Interno aveva diffuso una direttiva preventiva per diffidare l’ingresso nelle acque territoriali alla nave umanitaria.
«Non pensino di passarla liscia», aveva aggiunto a poche ore dalla pubblicazione della direttiva: «È chiaro che si tratta di una forzatura politica sulla pelle di questi disgraziati. Una sfida senza senso con a bordo 53 persone».
Poi l’affondo: «Non ci facciamo dettare le regole dell’immigrazione da una ong tedesca che usa una nave olandese fuorilegge. È la terza volta che la stessa nave ha lo stesso comportamento in pochi mesi. È ora che l’Unione Europea si svegli e che blocchi a terra le partenze rendendo sicuro un porto libico sotto il controllo delle autorità internazionali, per evitare drammi, morti, feriti e annegamenti».
La Libia è un porto sicuro?
Tripoli, luogo di sbarco assegnato a Sea Watch dai libici e verso il quale lo stesso Salvini ripete di andare, è o non è un porto sicuro? La Libia, ha scritto il vicepremier, ha preso il coordinamento di quello che in gergo si chiama evento Sar, di Ricerca e Soccorso. E ha assegnato un porto di sbarco: proprio Tripoli. È la prima volta che succede da quando il Paese ha autoproclamato all’International Maritime Organization la sua zona SAR (Search and Rescue) nel giugno 2018.
Tuttavia, per la comunità internazionale, la Libia non è, e non è mai stata, un porto sicuro. I naufraghi hanno diritto a essere portati in un POS, un Place of Safety: il cosiddetto “porto sicuro”, insomma. E la Libia – come ha sottolineato anche la Commissione europea – non lo è.
Sia a causa del conflitto armato in escalation, sia perché il Paese non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951. Le Nazioni Unite parlano nei loro rapporti di «torture e orrori inimmaginabili» cui vengono sottoposti i migranti in Libia, nei centri di detenzione.
Per una nave battente bandiera europea, di paesi quindi che aderiscono al diritto internazionale – spiegano da sempre gli esperti – riportare persone in Libia significa violare il diritto internazionale.
SeaWatch non vuole portarli in Libia? Allora spieghi perché ha chiesto a Tripoli un porto sicuro. E perché, dopo la risposta positiva, ha atteso per ore davanti alla costa africana. https://t.co/rVHwt2pS4E
Le navi hanno l’obbligo di inviare richiesta di Pos a tutti i centri di coordinamento della zona: Sea Watch 3 dice di averlo fatto con Libia, Malta, Italia. Ma avere una zona Sar (che si costituisce per prassi appunto attraverso una dichiarazione all’IMO), coordinare i soccorsi (in un contesto in cui il centro di coordinamento di Tripoli ha dimostrato nel tempo di rispondere raramente, e di non comprendere spesso l’inglese, per esempio), non vuol dire per quel paese essere un “porto sicuro”.
Salvini e Muscat hanno condiviso «l’esigenza di proseguire la collaborazione volta a sostenere le Autorità libiche per rafforzarne le capacità di soccorso in mare e di controllo delle frontiere».
La querela
Intanto Sea Watch querela Matteo Salvini. Era nell’aria: dopo le parole del ministro degli Interni – che ha definito il soccorso di 53 persone nel Mediterraneo centrale effettuato dalla Sea Watch3 «un atto di pirateria di un’organizzazione fuori legge», i legali della ong tedesca annunciano, il 13 giugno, una querela per diffamazione nei confronti del leader della Lega.
Nel mirino dagli avvocati Alessandro Gamberini e Leonardo Marino le «innumerevoli dichiarazioni diffamatorie a mezzo stampa» del ministro, «insultando la ong e l’operato della sua nave». Operato che, dicono i legali, «si sostanzia, sempre, in legittima attività di soccorso e salvataggio.
Non solo: le ragioni della querela per diffamazione a mezzo stampa risiedono anche, dicono gli avvocati, nel fatto che «l’esito delle indagini rivolte sull’operato delle ong smentisce categoricamente il ministro dell’Interno».
La Sea Watch 3 ha rispettato la vigente normativa internazionale che, come oramai noto, vieta il trasbordo e lo sbarco in territorio libico, spiegano i due legali di Sea Watch.
Matteo Salvini «sa bene che fare rientrare chi fugge da guerre, violenze e soprusi in un paese che non è qualificato come “Porto Sicuro”, in costante guerra civile, costituisce una gravissima violazione dei diritti umani, del diritto del mare e del diritto dei rifugiati», dicono ancora da Sea Watch.
«Utilizzare l’importante ruolo istituzionale di capo del Viminale, in assenza di elementi oggettivi a supporto delle proprie asserzioni, costituisce violazione delle proprie competenze e lascia, peraltro, perplessi sull’attenzione e le energie che il ministro ripone sull’attività svolta dalle Ong che ha soccorso solamente 53 naufraghi quando, ricordiamo, ogni giorno arrivano decine e decine di persone a bordo di barche fantasma nonché, come nelle ultime settimane, di navi militari e mercantili», attaccano gli avvocati Gamberini e Marino.