Autonomia, l’accordo slitta ancora. E Salvini lascia il vertice in anticipo

«Prima si fa meglio è» continua a ripetere Matteo Salvini. La Lega vorrebbe portare il tema in Consiglio dei Ministri entro fine luglio, mentre i 5 Stelle frenano. «Alcune regioni hanno fatto una lista della spesa forse un po’ troppo esagerata quindi va un po’ sistemata» ha detto il sottosegretario Stefano Buffagni

Nulla da fare, nemmeno stavolta. Nel vertice a Palazzo Chigi sull’autonomia differenziata, convocato nel primo pomeriggio dal premier da Giuseppe Conte, Lega e Cinque stelle non hanno raggiunto un accordo definitivo. E l’uscita anticipata (e annunciata) del ministro dell’interno lo testimonia. Vertice aggiornato a giovedì mattina.


All’incontro erano presenti i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, e i ministri competenti, eccezion fatta per quello dell’Economia Giovanni Tria (già a Bruxelles e impegnato domani all’Ecofin). Esattamente come una settimana fa, il leader della Lega ha lasciato il vertice in anticipo per andare al comitato per l’ordine e la sicurezza sul tema migranti al Viminale.


Perché non è stato raggiunto l’accordo

Come spesso accade durante queste riunioni, il clima viene descritto come cordiale, privo di preclusioni, ma non sarebbe ancora stato trovato l’accordo sulle risorse da destinare alle regioni che chiedono di gestire autonomamente tutti quei servizi che prima dividevano con lo Stato.

Gli obiettivi di Lega e Cinque Stelle

L’obiettivo dei leghisti è portare il tema in Consiglio dei ministri entro fine luglio, quello dei 5 Stelle di posticiparlo il più possibile e comunque superare almeno il 20 luglio, termine entro il quale si andrebbe al voto a settembre se cadesse il governo. Ipotesi piuttosto remota, ma per lo stesso motivo il partito guidato da Luigi Di Maio vorrebbe posticipare la discussione in aula del decreto sicurezza bis alla seconda metà di luglio.

«Prima si fa meglio è, perché ormai sono 12 le Regioni italiane che chiedono più autonomia, non è soltanto una richiesta lombarda o veneta. È giusto farla bene, noi le idee ce le abbiamo chiare, i compiti li abbiamo fatti, siamo pronti anche domani mattina» ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini. C’è ancora da definire quale ruolo avrà il Parlamento rispetto alle intese con le regioni (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna) che saranno approvate dal consiglio dei Ministri.

Ma nella riunione di mercoledì scorso (durata tre ore) con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la maggioranza ha fatto qualche passo in avanti e sembra essersi accordata su alcuni punti di natura economica: i trasferimenti statali alle regioni saranno calcolati in base alla spesa storica in quella regione per ogni specifica competenza.

Solo dopo tre anni, si passerebbe ai trasferimenti calcolati in base ai fabbisogni standard, applicati progressivamente considerando i livelli essenziali delle prestazioni.

«Se quel riferimento alla spesa media viene finalmente cancellato da tutti i testi (non è mai stato presente su alcun testo avallato dall’Emilia-Romagna e su questo avevamo messo in mora il Governo) lo considero un oggettivo passo avanti, che va proprio nella direzione indicata dall’Emilia-Romagna», ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

Il nodo dell’istruzione

Raggiunto l’accordo sul piano finanziario, nel vertice di oggi si entrerà nello specifico delle competenze: dalle infrastrutture all’ambiente. Lo scontro più acceso è quello sulla scuola: il ministro dell’Istruzione Bussetti deve fronteggiare le preoccupazioni dei sindacati, oltre che quelle degli alleati di governo.

Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti alla Camera durante il question time, Roma, 8 maggio 2019. ANSA/GIUSEPPE LAMI

«Quando il ministro Stefani (per gli Affari Regionali, ndr) è venuta in Consiglio dei ministri aveva trovato l’accordo con sanità, ambiente, sviluppo economico. Tutti ministeri M5S. Sa con chi mancava l’accordo? Con l’Istruzione, retta dal ministro Bussetti. Ma non lo accuso di nulla» aveva detto il ministro per il Sud Barbara Lezzi.


I due governatori leghisti, Luca Zaia e Attilio Fontana da mesi ripetono che senza la realizzazione dell’autonomia, il governo Conte non andrà avanti. Proprio in Lombardia e Veneto, nel 2017 si era svolto un referendum su questo tema. Sulla stessa linea anche il sottosegretario Giancarlo Giorgetti.

Ma gli accordi preliminari tra il governo e le tre regioni risalgono a febbraio 2018. Un anno dopo, nella seduta del consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2019 sono stati illustrati i contenuti di queste pre-intese: l’esecutivo giallo-verde scade tra quattro anni. Nonostante i proclami leghisti, c’è ancora molto tempo.

Leggi anche: