Tutte te stessa: ecco com’è nato il romanzo sul «sistema Bellomo» – L’intervista all’autrice

Parla l’autrice del romanzo ispirato alle vicende dell’ex giudice: «In tanti sapevano. E lui è arrivato a una sensazione di onnipotenza. Ed è lì che, finalmente, il meccanismo è saltato»

Si staglia netto, negli atti dell’inchiesta che hanno portato all’arresto dell’ex giudice ed ex consigliere di Stato Francesco Bellomo, quello che gli inquirenti hanno già definito il «sistema Bellomo». Dinamiche che potrebbero apparire ai limiti dell’immaginazione. Praticamente un romanzo.


Eppure, invece, sono reali e schiaccianti. Dinamiche che, spesso, poco hanno di nuovo nel percorso professionale di una donna: in Italia come all’estero, in magistratura come in televisione, nel giornalismo come nella politica.


«Tutte te stessa» è un romanzo uscito il 27 marzo scorso per Transeuropa edizioni. L’autrice è Mariangela Ballardini: classe 1986, nata a Faenza, è laureata in lettere, insegna italiano e ha frequentato un master di produzione e sceneggiatura TV a Londra.

Il suo è un libro sul «sistema Bellomo» ed è il suo primo romanzo. Con tutti gli elementi del romanzo, ma liberamente tratto proprio dalla cronaca di questo incubo al femminile che è la vicenda che vede al centro l’ex consigliere di Stato ora in carcere.

Liberamente tratto, ma anche realisticamente basato: l’autrice ha avuto modo – racconta – di raccogliere le testimonianze di chi, in quel sistema di dress code, manipolazioni, ossessioni, controllo, minacce, ci è finita.

Mariangela Ballardini

Mariangela, com’è nata l’idea del romanzo?

«È il primo volume della seconda stagione della “Wildworld”, una collana che rimescola le carte tra realtà e finzione. L’idea è nata parlando con il mio editore: erano i tempi del #metoo, e ci è venuta l’idea di scrivere una storia di manipolazione – per questo si cita anche, nella quarta di copertina, il caso Weinstein. In quel momento lo scandalo Bellomo era sì venuto fuori, ma ancora un po’ in sordina.

Il racconto è in prima persona: l’idea è quella di far capire che ci sono delle storie che si ripetono sempre. Ho deciso di adottare la prospettiva in prima persona per fare vedere cosa succede nella testa della persona manipolata.

Per me era una storia allucinante, che in più aveva dinamiche mai verificatesi prima – per esempio, la questione del contratto che le borsiste dovevano firmare. Una forma di psicosi, quasi. E poi sono convintamente femminista: una parola ormai abusata, ma anche una parola che per fortuna è diventata “di moda”».

Che quadro emerge dalla vicenda, secondo lei?

«La necessità di indagare un quadro complesso, di cui è necessario parlare. La divisione tra innocentisti e colpevolisti non lascia mai spazio a dinamiche più elaborate, che in questo caso sono quelle di persone fragili che si trovano in un contesto sbagliato. Bisogna tenere conto di tutte le sfumature.

Per scrivere il romanzo ho parlato con psicologi e psichiatri: volevo comprendere il profilo psicologico di una persona che subisce queste manipolazioni. Non dico per “scagionarle”, ma per capire. Rispondere a chi dice: ma quelle donne sapevano, ma potevano sottrarsi. Non è così: l’influenza di una persona di potere che pone di fronte a scelte difficili ammalia, e se non si è forti è più difficile capire quello che sta succedendo».

Per scrivere il libro lei ha raccolto anche delle testimonianze di borsiste che avevano frequentato il corso di Bellomo?

«Ho parlato con una ragazza che ne è uscita subito: si è ritirata dal corso appena ha ricevuto delle avances. Che io sappia, sta ancora tentando di entrare in magistratura. Le era stato proposto il posto da borsista: Bellomo ha cercato di baciarla, quando le ha fatto questa proposta.

È stata esclusa dalla scuola, ha iniziato a ricevere chiamate e messaggi. Ha resistito. Bellomo le ha quindi detto che l’avrebbe riammessa, alle sue condizioni. La ragazza ha continuato a resistere. E dopo un po’, chiamate e messaggi si sono fermati».

Ha denunciato?

«No. Probabilmente ha pensato di non avere in mano abbastanza».

Cosa emerge dal suo racconto?

«Mi ha parlato di questa sensazione di “setta” che si percepiva lì. Non c’era nessuna veramente in grado di analizzare quanto stesse accadendo: c’erano piuttosto enorme omertà e grande venerazione di questo personaggio.

Ecco: Bellomo è riuscito a creare una setta, fatta di venerazione nei suoi confronti. Ed è riuscito così a far sì che questa situazione andasse avanti per anni. Chi ci è finita in mezzo magari se ne rendeva conto, sì, ma nessuna aveva il coraggio di prendersi la responsabilità di distaccarsene».

Non solo: quello che succedeva era noto al mondo della magistratura tutta. La mia sensazione è che, in fondo, non si aspettasse altro che partisse la prima denuncia come poi, alla fine è successo.

Bellomo aveva una rete di persone che collaboravano con lui: una di queste è indagata con lui, l’ex pm di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste. Ma secondo quanto ho raccolto, pare che il giro dietro al sistema Bellomo fosse molto più cospicuo».

Un esempio?

«Prendiamo i party che Bellomo organizzava. Era diventato quasi un servizio di escort, non pagate ma obbligate a frequentare delle persone. Feste in cui le ragazze dovevano usare il famoso dress code e le norme di comportamento. Nel libro poi racconto anche una storia parallela: una storia di ecomafia ispirata all’inchiesta della Montedison.

L’idea è quella di raccontare che questi party non servissero solo per ottenere favori sessuali, ma che fossero anche dei luoghi – come il bunga bunga di Silvio Berlusconi – in cui vengono organizzati accordi e traffici. Per questo il sistema è durato a lungo, grazie al potere e all’influenza, e all’uso di queste ragazze».

Intervista all’ex Consigliere di Stato Francesco Bellomo a Porta a Porta, Roma, 23 gennaio 2018. Ansa/RaiTv.it

Dall’inchiesta stanno emergendo molti dettagli sul sistema Bellomo. Per esempio il contenuto dei messaggi che mandava a borsiste e ricercatrici. Cosa ne pensa?

«Sono femminista da sempre, e per fortuna è diventato di moda. Sono felice che il mio primo romanzo verta su un tema così importante come la manipolazione emotiva. Parla di quello che capita a tutte noi: e soprattutto fino a pochi anni fa – quando questi temi non erano sdoganati – si provava vergogna.

“Forse è colpa mia”, “forse ho sbagliato”: era ed è questa, la reazione. Più ne parliamo, più capiamo che è una situazione che continua a verificarsi, sotterranea, e che si può affrontare solo portandola in superficie. Un po’ come i party di Bellomo: magari ognuna di loro realizzava cosa stava succedendo. Se si fossero parlate, quella spirale probabilmente si sarebbe interrotta anni prima. Ma non è successo.

E di lui, dell’ex giudice, che idea si è fatta?

«Non ho competenze per delinearne un profilo psicologico, ma la sensazione che mi lascia con la sua azione manipolatoria è quella di una personalità di stampo narcisistico-istrionico.

C’è uno schema, è vero: si andava a prendere persone più fragili. Captandole, mettendole in una posizione in cui diventa sempre più difficile parlare e realizzare, muoversi e andare altrove. È raro che persone del genere incrocino personalità più forti. Solo che così, è come se fosse arrivato a una sensazione di onnipotenza: ed è lì che qualcuna ha parlato. È lì che il meccanismo è finalmente saltato».

Il prossimo romanzo?

«Adesso sto provando a scrivere un testo che parla di una relazione tossica. Articolato in due punti di vista che si alternano: quello di lui e lei. Vorrei raccontare come si crea, questa tossicità. La scrittura per me è una forma di catarsi: che il romanzo venga pubblicato o no, vedere queste cose scritte costituisce per me una forma di elaborazione».

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