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Papa Francesco: «La prostituzione è una malattia dell’umanità»

29 Luglio 2019 - 12:30 Redazione
Per il Pontefice «Qualsiasi forma di prostituzione è una riduzione in schiavitù»

«Qualsiasi forma di prostituzione è una riduzione in schiavitù – scrive papa Francesco – un atto criminale, un vizio schifoso che confonde il fare l’amore con lo sfogare i propri istinti torturando una donna inerme».

Nella prefazione di un libro, «Donne crocifisse. La vergogna della tratta raccontata dalla strada» di don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII, edito da Rubettino e anticipata da Repubblica, il Papa ha espresso la sua posizione riguardo al lavoro sessuale.

Dopo essere stato in visita nella casa di accoglienza della comunità in questione, il Pontefice scrive: «Non pensavo che lì dentro avrei trovato donne così umiliate, affrante, provate. Realmente donne crocifisse».

Ma mentre nella parte iniziale della lettera il Pontefice sembra tenere a specificare che la sua condanna è rivolta alla tratta e la prostituzione coatta, nella seconda parte si scaglia contro «qualsiasi forma» di prostituzione.

«È patologica la mentalità per cui una donna vada sfruttata come se fosse una merce da usare e poi gettare», scrive Papa Francesco, «È una malattia dell’umanità, un modo sbagliato di pensare della società. Liberare queste povere schiave è un gesto di misericordia e un dovere per tutti gli uomini di buona volontà».

La posizione dei sexworker

In un editoriale sul Guardian, intitolato «Non tutti i/le sexworker sono vittime», il sindacalista e lavoratore del sesso Thierry Schaffauser aveva spiegato, già nel 2010, come condannare l’intero settore sia estremamente pericoloso per chi ci lavora, obbligato o no.

Le percentuali di chi dei lavoratori del sesso esercita la professione sotto coercizione e chi sceglie liberamente di farlo non sono chiare, vista l’impossibilità di quantificare un fenomeno costretto alla clandestinità, ma l’esistenza di questa seconda categoria non deve, secondo Schaffauser, essere ignorata.

Per chi lo sceglie, spiega, il lavoro del sesso non è «vendita del proprio corpo» bensì «vendita di prestazioni sessuali». Schaffauser è anche il fondatore dello Strass, il primo sindacato per lavoratori e lavoratrici del sesso in Francia, che milita per la legalizzazione della professione, che aiuterebbe a distinguere tra chi la compie per scelta e chi viene invece forzato o sfruttato.

Nel suo editoriale l’attivista sottolinea che questa condanna della professione in sé e non dello sfruttamento subito da alcuni/e lavoratori/rici implica che «tutti gli atti di violenza contro un/a sex worker sono interpretati come il risultato di una caratteristica intrinseca del lavoro del sesso e non delle condizioni in cui il lavoro del sesso è esercitato». Questo impedisce, a suo avviso, alla violenza che esiste nel settore di isolarla e quindi combattuta.

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