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Ius culturae in Parlamento. Ecco i volti e le voci di chi è cresciuto senza cittadinanza: «Un foglio di carta. Ma ti cambia la vita»

Oggi, 3 ottobre, riparte alla Camera l’iter per la riforma della legge sulla cittadinanza. Al di là delle posizioni delle forze politiche, non avere la cittadinanza italiana si ripercuote in maniera pratica sulla vita quotidiana di migliaia di ragazzi. Abbiamo raccolto alcune storie. Se non avete il tempo per leggerle tutte, guardate solo i video: parlano da soli

Studiare per un concorso e poi scoprire di non poter partecipare. Non poter fare una sorpresa alla migliore amica che vive fuori dall’Ue. Programmare un viaggio, ma solo purché rispetti la data di scadenza: quella stampata a caratteri neri sul proprio permesso di soggiorno.

La riforma della legge sulla cittadinanza nota come ius culturae – che andrebbe a semplificare l’iter di conferimento della cittadinanza italiana per i giovani che studiano nel nostro Paese – non ha fatto in tempo ad arrivare sul banco della Camera dei deputati, che già esponenti di qualsiasi colore politico ne hanno preso le distanze.

Giorgia Meloni ha lanciato una raccolta firme per bloccare la legge sul nascere, Matteo Salvini ha promesso battaglia in Parlamento perché «la cittadinanza non si può regalare». Ma anche per alcuni dem e grillini, «la riforma non è una priorità»: c’è altro a cui pensare.

Mentre si torna a dibattere, ci sono – e sono reali – migliaia di ragazze e ragazzi in Italia che ogni giorno devono scontrarsi con il muro della burocrazia. E si ritrovano a fare rinunce importanti, a vivere situazioni spiacevoli, a non avere gli stessi diritti di compagne e compagni di scuola: perché manca loro quello che spesso viene definito «un foglio di carta».

Abbiamo raccolto storie di giovani che ci hanno raccontato alcuni problemi pratici con cui si sono scontrati perché non hanno o non avevano la cittadinanza. Qualcuno di loro l’ha acquisita al compimento dei 18 anni, secondo le leggi attuali: ma porta nel cuore un’ingiustizia, una delusione per qualcosa che non è riuscito a fare fino a quel momento. Altri, spesso dopo tanto tempo, la stanno ancora aspettando.

Benedicta Djumpah, 27 anni, nata a Brescia

Benedicta vive a Roma dove lavora all’Università come assistente degli studenti americani. Sono passati più di 10 anni, ma ricorda ancora il senso di disagio che ha sentito quando a 16 anni ha dovuto saltare un giorno di scuola e fare diverse ore in fila a uno sportello per chiedere il «permesso di stare nel proprio Paese».

Ricorda anche quella volta che alle scuole superiori, per andare in gita, la sua professoressa si è assunta la responsabilità di portare fuori dal confine una minore, dal punto di vista burocratico, non in regola con i documenti visto che lei allora era ancora senza cittadinanza. La sua più grande gioia quando ha ricevuto «il foglio di carta?». Viaggiare, certo. Ma anche votare per far sentire la propria voce.

Fatou Sokhna, 24 anni, cantante

Fatou è nata in Italia, a piazza Vittorio a Roma, e a 18 anni ha ottenuto la cittadinanza. Racconta che quando ha presentato i documenti le è scappato un romanissimo «daje» e che la funzionaria l’ha guardata e le ha detto: «Tranquilla, prenderai la cittadinanza. Sei proprio italiana, tu». Ma ricorda ancora quando non è potuta andare al funerale di sua nonna per un inghippo burocratico che le ha ritardato il rilascio dei documenti.

Dice che tutto sommato è stata fortunata perché non ha subito ingiustizie gravi, ma racconta anche che, prima, quando leggevano il suo nome nessuno si approcciava a lei come a «una persona alla pari». «Finché non aprivo bocca e parlavo romanesco», sorride. E «che soddisfazione il mio primo viaggio con il passaporto italiano».

Sonny Olumati, 33 anni, ballerino

Sonny ci tiene subito a precisare che è nato al Policlinico Gemelli di Roma ed è romano. Dice che di ingiustizie ne ha vissute tante: come quella volta che a 18 anni ha dato l’esame della patente e, solo dopo averlo passato, gli è stato comunicato che avrebbe dovuto rifare il test perché il suo permesso di soggiorno non era in corso di validità, ma lo stava rinnovando.

Oppure quando è andato a fare uno stage in Puglia, ma alla stazione di Taranto i carabinieri lo ha fermato e portato in caserma perché non aveva con sé il permesso di soggiorno in originale, ma solo la fotocopia: «Quando viaggio non porto l’originale perché ho paura di perderlo e poi è un casino per chiedere il duplicato», spiega.

Infine fa un appello ai politici, ma anche ai giornalisti: «Smettete di parlare di ius soli e ius culturae, sono formule vecchie. Durante l’ultima legislatura, i partiti hanno usato queste parole come armi per farsi la guerra. E ha funzionato. Ora le forze politiche stanno già impugnando queste armi ancora prima della battaglia. Smettetela e chiamatelo per quello che è: un “cambiamento che può migliorare la vita a migliaia di ragazzi”».

Video: Angela Gennaro

Grafiche e montaggio: Vincenzo Monaco

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