Infanzia a rischio e scuola senza fondi. Allarme Save the children: 1,2 milioni di minori in Italia in povertà assoluta e senza futuro

di OPEN

Abbandono scolastico, risorse insufficienti, povertà assoluta in crescita: i dati di Save the children dimostrano che l’Italia non è un Paese per nuove generazioni

Inerzia della politica, diseguaglianze intergenerazionali e geografiche, cambiamenti climatici e denatalità. Di questo molto altro parla la decima edizione dell’ Atlante dell’infanzia a rischio di Save The Children. Nell’arco di 10 anni, i bambini in povertà assoluta in Italia sono più che triplicati, e le difficoltà sociali che già esistevano sono rimaste dov’erano.


Il report, a cura di Giulio Cederna, mira a fare un bilancio della situazione infantile nell’ultimo decennio. Per quanto riguarda il nostro Paese, sono chiari i danni provocati dai mancati investimenti nei servizi per la prima infanzia, nella scuola, nelle politiche sociali, dall’incapacità di varare una norma per riconoscere la cittadinanza ai bambini di seconda generazione.


«Da quando abbiamo cominciato a dare alle stampe l’Atlante», si legge nel reporto, «quasi un milione di minori si è aggiunto al bacino della povertà assoluta, più di un milione è entrato a far parte di quello della povertà relativa, sono cresciuti ancora i giovani NEET e i disoccupati, e tutto ciò ha contribuito a un ulteriore crollo della natalità, con una perdita secca di ben 136.000 neonati rispetto al 2008».

La spending review della scuola: la situazione nelle Regioni

Come emerge dallo studio, un indicatore del tempo perduto in questi dieci anni sul fronte della lotta alle diseguaglianze di opportunità dei bambini e delle bambine è rappresentato dal panorama «tuttora frammentato, statico e gravemente lacunoso» dell’offerta educativa per la prima infanzia.

Grafica: Save The Children

Se in Emilia e Toscana 25 e 23 bambini su 100 frequentano un servizio per la prima infanzia comunale o sovvenzionato dai comuni, in Campania questo accade a meno di 4 bambini (il 3,6%) e in Calabria a circa 2 su 100
(il 2,2%). Il confronto temporale dell’indicatore di presa in carico mostra inoltre, al 2016, il fallimento dei tentativi di perequazione messi in campo finora. Qualche timido miglioramento si osserva in Puglia (+1,6%) e in Campania (+0,8%), ma è poca cosa rispetto ai passi avanti fatti in Friuli Venezia Giulia e nel Lazio (per non parlare di Trento e Bolzano). La Calabria, ferma al 2,2%, e la Sicilia (5,2%) perdono addirittura dei decimali rispetto al 2008 (rispettivamente – 0,5% e – 0,8%)

Grafica: Save The Children

A impressionare è anche la disparità nei livelli di spesa pro capite tra una Regione e l’altra. Per ciascun bambino 0-2 anni presente sul territorio la provincia, si legge nello studio, l’autonoma di Trento investe in servizi per la prima infanzia 2.200 euro annui, seguita dalla Valle d’Aosta leggermente al di sotto dei 2000 euro, dall’Emilia Romagna e dal Lazio (1.600 euro annui).

Seguono le altre regioni del Centro-Nord, la Sardegna e il Veneto con poco più di 500 euro, e molto distanti, le altre regioni del Mezzogiorno: la Puglia con 285 euro pro-capite, la Campania con 219, la Calabria con 90. «In tutti questi anni – denuncia Save The Children – nelle Regioni del Mezzogiorno centinaia di migliaia di bambini piccoli sono stati privati di un’importante opportunità di sviluppo».

I luoghi della povertà: Mezzogiorno e famiglie straniere

Mente in Parlamento fatica a decollare il dibattito sulle nuove regole della cittadinanza, i dati di Save The Children dimostrano come molte delle diseguaglianze dipendano dalla nazionalità dei residenti, a causa delle inadeguate politiche sociali di integrazione e alle “irrisorie” politiche abitative («Da almeno tre decenni l’Italia destina al welfare abitativo una quota irrisoria della spesa sociale, lo 0,1 nel 2016, ben lontana da quella investita in questo settore cruciale da altri Paesi»).

Oggi come nel 2008, circa un terzo delle famiglie in povertà è costituito da famiglie straniere (malgrado queste rappresentino poco più di un decimo del totale delle famiglie residenti), concentrate prevalentemente nel Centro e nel Nord del Paese.

Grafica: Save The Children

In Italia, «vive in povertà un bambino su venti nelle famiglie di italiani del Centro Nord, uno su nove nelle famiglie di italiani del Mezzogiorno, più di uno su tre nelle famiglie con stranieri. […] L’onere della recessione ricade inoltre in maniera rilevante sugli immigrati: nel 2017 1,8 milioni di persone, il 36% degli individui in povertà assoluta, vivevano in famiglie con almeno uno straniero, nonostante i componenti di questo tipo di famiglia rappresentassero solo il 10% del totale» .

La crisi economica e la povertà assoluta si concentrano poi sulle famiglie del Mezzogiorno: tra il 2014 e il 2018, nel Nord-Est, il tasso di povertà assoluta è rimasto stabile intorno al 10%, nel Nord Ovest è salito dal 10 al 12,6%, mentre nel Sud è addirittura raddoppiato dall’8 al 16%, e nelle Isole si è confermato sui livelli già elevati del 15%. Così, nel 2018, risulta che il 45% dei minori in povertà assoluta in Italia risiede nel Sud Italia.

L’adagio è vero: l’Italia «non è un Paese per giovani»

Oltre ai crescenti livelli di denatalità, secondo Save The Children, «a lungo andare il sonno della ragione in tema di politiche sociali e educative ha alimentato paurosi divari generazionali». L’inerzia delle politiche di welfare, immobile sulle strategie per le politiche giovanili, ha depotenziato l’iniziativa delle nuove generazioni in merito alle proprie vite, e il numero dei Neet ( “Not in education, employment or training“, ovvero non più a scuola, non ancora al lavoro, né in formazione) è aumentato.

Grafica: Save The Children

Durante il decennio della crisi, il tasso di NEET ha continuato a crescere dappertutto, e a valanga in Calabria (+7,9%), Lazio, Liguria, Molise (sopra il 7%), Sicilia e Umbria (6,1%). Oggi nel nostro Paese quasi 1 giovane su 4 (il 23,4%) si muove in questa condizione di limbo e «non pare avere un gran futuro nella nuova età della conoscenza».

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