Sì, è ora di contrastare gli appestatori del web, ma la proposta di Marattin è sbagliata

Davvero rendere obbligatorio l’uso della carta di identità per creare un profilo social è la soluzione contro fake, bot ed haters?

Da oggi a infoltire le fila di chi vorrebbe rendere necessario per la creazione di un profilo online l’invio di un documento d’identità c’è anche il deputato Luigi Marattin. L’ex-Consigliere Economico di Palazzo Chigi fedelissimo di Renzi e da poco passato a Italia Viva, infatti, ha pubblicamente fatto sua la proposta via Twitter del regista Gabriele Muccino di rendere obbligatorio l’invio di un documento di identità per chiunque apra un account su una piattaforma social.


I tweet di Muccino e Marattin.

L’idea non è nuova e non ha bandiera politica: giusto qualche mese fa è stato il deputato di Forza Italia Andrea Ruggieri a metterla sul tavolo per contrastare “ogni forma di violazione della dignità della persona, in particolare dei minori in quanto soggetti più deboli ed esposti al web”. Marattin la propone oggi “per impedire che il web rimanga la fogna che è diventato”, facendo riferimento alla diffusione di fake news, ai bot e ad alcuni dei reati a mezzo social, come la diffamazione, gli insulti e le minacce.


Il post Facebook di Luigi Marattin.

Ma siamo certi che una legge del genere risolverebbe questi problemi? Davvero la lotta al cosiddetto anonimato online è la soluzione? Partiamo con il dire che quando parliamo di “anonimato” facciamo in realtà riferimento allo “pseudonimato”, ovvero alla possibilità di scegliere un nickname diverso dal nome – facoltà verso la quale, peraltro, Marattin si mostra favorevole “perché è giusto preservare quella scelta”.

I mezzi ci sono, ma…

Già adesso, infatti chiunque si registri su una piattaforma social è rintracciabile grazie al proprio IP, che si può chiedere – solo in caso di reati -attraverso una rogatoria. L’argomentazione di chi è a favore di questa proposta di legge è che l’IP può essere mascherato, ma se è per questo anche il documento può essere falsificato. Chi si occuperà di verificarne la veridicità?

Altra questione: quali piattaforme sono classificabili come social network, in assenza di una definizione univoca di “social network”? Se per Facebook, Twitter e Instagram la risposta sembra ovvia, per app come Whatsapp e Telegram è meno scontata. E network come quello della Playstation – la cui chat integrata, come svelato dal ministro degli Interni belga nel 2015, veniva usata dall’Isis per comunicare e organizzare attentati – o generiche comunità online come WordPress o Medium come andrebbero inquadrate?

Stefano Zanero, esperto di sicurezza informatica e professore del Politecnico di Milano, aveva più volte spiegato le problematiche legate al voler associare un documento d’identità con i propri profili online:

Un ulteriore problema che rende tutte queste ipotesi pura fantasia è: anche volendo chiedere “i documenti” per registrarsi “col proprio nome”, come si verificano quei documenti? Perché mandare un documento alterato è un amen. Di nuovo si colpiscono solo i cittadini onesti.

E ancora: anche se la definizione esistesse e fosse priva di ogni equivoco, la legge sarebbe applicabile solo in Italia, il che mal si concilia con la definizione stessa del web. Solo le persone sul suolo Italiano sarebbero soggette a questa legge e, come fatto notare da diversi esperti di settore e cosiddetti “white hat” – non per ultimo @Evaristegal0is – qualsiasi VPN geolocalizzata fuori dal territorio nazionale oppure Tor permetterebbero di aggirare la normativa. E quindi che fare, vietare l’utilizzo di VPN e Tor?

Un pericoloso precedente

Poi c’è il problema legato ai regimi dittatoriali, una proposta come quella di Marattin potrebbe creare un precedente pericoloso laddove la libertà di espressione non viene garantita. Zanero condivide l’osservazione posta proprio dai membri della comunità hacker, sensibile all’argomento. Ecco il tweet dell’italiano Pinperepette:

Esiste, ci sono (grazie a dio) strumenti come Tor che permettono a persone che vivono in regimo di dittatura di dire la propria opinione… se qualche insulto e qualche commercio illegale sono il prezzo da pagare, onestamente mi sembra un affare 🙂

Conclusioni

Insomma, forse la proposta di Marattin non è la soluzione giusta per contrastare le fake news, gli odiatori seriali e i bot: obbligare società private che già sanno tutto di noi a raccogliere ulteriori dati su di noi, lasciando però invariato l’iter burocratico per richiedere i dati – ovvero la rogatoria – e tutti i costi e le lungaggini che esso comporta, non renderebbe più semplice identificare chi commette reati online, anzi.

E se, invece di immaginare una realtà distopica in cui siamo tutti schedati in rete, per cominciare questa battaglia contro gli appestatori del web lavorassimo per semplificare l’attuale procedura per ottenere il rilascio dei contenuti di un account social, anche a livello internazionale? O se, su questa scia, gli stessi politici che invocano a gran voce un intervento del legislatore si facessero promotori di una più ampia battaglia culturale che stigmatizza l’insulto libero sui social sempre, e non solo quando va contro il loro interesse?

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