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Fuga dal M5s, controffensiva di Sibilia che rispolvera post di Grassi: «Difendeva la clausola anti-defezione. Chi va via deve pagare»

12 Dicembre 2019 - 15:52 Redazione
«È noto che il M5S abbia chiesto ai suoi candidati di sottoscrivere la clausola anti 'floor crossing'. Chi decide di andar via deve rispettare gli elettori e pagare», dice il sottosegretario

È partita la controffensiva del Movimento 5 Stelle, in risposta alle fuoriuscite (ufficiale per il senatore Ugo Grassi oggi, in via di ufficializzazione per esempio per Stefano Lucidi ) di alcuni senatori “dissidenti” e il cui contrasto con il Movimento ha trovato nel dibattito sul fondo salva-Stati il suo casus belli.

E si ripropongono prese di posizione passate apparentemente in contrasto con l’oggi. Come quella sul blog delle Stelle del febbraio 2018 dell’allora candidato, poi divenuto senatore, Ugo Grassi, il primo oggi a ufficializzare il suo addio al M5S e il passaggio alla Lega, scatenando l’ira del capo politico Luigi Di Maio. Nel post di un anno e mezzo fa Grassi, che è un legale, spiega dettagliatamente, difendendola a spada tratta, la clausola anti ‘floor crossing’, ovvero la clausola anti-defezione, la multa per i cambi di casacca prevista dalle regole grilline.

A rispolverare il post è il sottosegretario all’Interno e volto storico del Movimento, Carlo Sibilia, che condivide la spiegazione di Grassi su Twitter. «La politica insegna a dare grande valore alle idee di tutti e a rispettare le proprie», scrive Sibilia. «È noto che il M5S abbia chiesto ai suoi candidati di sottoscrivere la clausola anti ‘floor crossing’. Chi decide di andar via deve rispettare gli elettori e pagare».

Il post delle Stelle

«Il tema è più complesso di quanto credono quei commentatori a digiuno di storia delle Costituzioni e prima di prendere per i fondelli il Movimento sarebbe bene studiare un po’», avvertiva il senatore Grassi un anno fa.

Il principio del divieto di mandato imperativo «ha un valore in funzione del confronto democratico tra le varie forze politiche organizzate in partiti. Da qui la dottrina costituzionalistica ha osservato che il principio di cui al nostro art. 67 cost. non è altro che una descrizione simbolica del rapporto tra l’eletto ed il partito», scriveva ancora Grassi.

Il divieto di mandato imperativo «reca con sé il principio di lealtà verso le idee politiche difese in campagna elettorale ed in forza delle quali si è stati votati. Il civilista, qual io sono, non ha difficoltà a ricordare che qualunque contratto deve essere eseguito secondo correttezza e buona fede. Dunque il principio di cui all’art. 67 cost. ha un suo interno limite: quello della lealtà verso l’elettore».

In copertina Carlo Sibilia in una foto d’archivio. ANSA/Riccardo Antimiani

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