Abbandono scolastico, allarme nel Sud Italia. Suppa, preside a Vibo Valentia: «La mia è una scuola di frontiera»

Nel Meridione, quasi un ragazzo ogni cinque lascia la scuola in anticipo. Per il preside Raffaele Suppa «proporre una didattica più esperenziale aiuta a ridurre i tassi di abbandono nei miei licei»

Si parla spesso di “cervelli in fuga”, ragazzi laureati nelle università italiane che, per trovare un lavoro adeguato alle proprie aspettative, lasciano il Paese per cercare all’estero condizioni occupazionali all’altezza della propria formazione. Si parla meno dei problemi che ha quella formazione, soprattutto nelle regioni meridionali dell’Italia, e delle criticità che affrontano i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni.


Eppure la proporzione tra chi lascia il Paese dopo il ciclo universitario e chi, invece, rinuncia alla propria formazione prima di compiere 25 anni è impietosa verso i più giovani. Per ogni “cervello in fuga”, dieci ragazzi hanno abbandonato precocemente l’attività scolastica. Nel 2018, secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, sono stati 62 mila i laureati emigrati all’estero per lavoro contro 598 mila giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente l’attività scolastica.


«Quello degli descolarizzati – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo -, è un problema che stiamo colpevolmente sottovalutando. Nei prossimi anni, anche a seguito della denatalità in atto, le imprese rischiano di non poter contare su nuove maestranze sufficientemente preparate professionalmente. Un problema che già oggi comincia a farsi sentire in molte aree produttive, soprattutto del Nord».

Un fenomeno in ridimensionamento, ma non abbastanza

Negli ultimi anni c’è stata una contrazione del tasso di abbandono, ma il numero di ragazzi che lasciano prematuramente la scuola, anche quella dell’obbligo, resta elevato. Il rischio è che questi dati si traducano in disoccupazione giovanile, povertà ed esclusione sociale. È fattuale la rispondenza tra livello insufficiente di istruzione e lavoro dequalificato, precario e mal retribuito.

I fattori dell’abbandono

Le cause che inducono i ragazzi all’abbandono scolastico sono di natura culturale, sociale ed economica. Chi nasce in famiglie svantaggiate o con genitori che, a loro volta, non hanno un buon livello di istruzione, ha più possibilità di lasciare precocemente gli studi. L’indagine ha rilevato anche un fattore di genere: i maschi sono più inclini al fenomeno rispetto alle ragazze.

Italia ed Europa

In tutto il continente la fuga dai banchi di scuola è in calo. Considerando i Paesi dell’area euro, l’Italia si trova al terzo posto per abbandono scolastico in età compresa tra i 18 e i 24 anni. Nel nostro Paese la percentuale è stata del 14,5%, pari a circa 598 mila giovani. Peggio di noi solo Malta, 17,4%, e Spagna, 17,9%. La media dei Paesi dell’Eurozona si attesta all’11%, con una contrazione del fenomeno che, tra il 2008 e il 2018, è calato del -5,3%.

Questione meridionale

Al Sud quasi un ragazzo ogni cinque lascia la scuola in anticipo. Nel 2018, in Sardegna il 23% dei giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio, sia esso un diploma professionale, di maturità, eccetera. Seguono la Sicilia con il 22,1% e la Calabria con il 20,3%. La situazione calabrese è particolare perché è l’unica regione in controtendenza rispetto alla rilevazione del 2008: in dieci anni, l’abbandono scolastico è calato in tutta Italia, mentre in Calabria è aumentato del +1,8%. Le regioni del Nordest, Abruzzo e Umbria sono invece le più virtuose.

Il preside: «La mia è una scuola di frontiera»

Vibo Valentia è la provincia più povera d’Italia. Nell’unica regione italiana dove il tasso di abbandono scolastico è cresciuto nell’ultimo decennio, c’è un preside che lotta per incentivare lo studio nei suoi alunni. «In dodici anni di servizio nell’istituto Morelli-Colao di Vibo, l’aspetto più delicato di questo lavoro è proprio la passione degli studenti», racconta Raffaele Suppa a Open.

Il preside dirige il liceo classico e il liceo artistico del capoluogo di provincia: «Sono scuole di frontiera, Vibo è un territorio di frontiera. Da qui emigrano famiglie, laureati, vanno via le persone più ambiziose o disperate. Fortunatamente, grazie alla fatica dei singoli per far crescere questo territorio, spesso i ragazzi ritornano perché amano questa terra e restituiscono l’esperienza accumulata nel Nord Italia o all’estero».

Preside, qual è la sua missione?

«Bisogna saper accogliere i ragazzi e custodire i loro sogni. Per quanto riguarda la questione degli abbandoni scolastici, stiamo cercando di risolvere il problema trasformando l’attività didattico-educativa: occorre rendere gli alunni i protagonisti della scuola, occorre far partecipare i ragazzi al percorso di formazione intensificando le attività laboratoriali. Proporre una didattica più esperenziale ha aiutato a ridurre i tassi di abbandono nei miei licei».

C’è una differenza tra i due tipi di scuole che lei dirige?

«Ho constatato che ci sono due contesti molto diversi, ma sono legati principalmente all’estrazione di natura economico e sociale degli studenti. Alunni che provengono da famiglie disagiate, dalle periferie e non dai centri urbani, tendono a dare meno priorità alla scuola. Il fattore economico-sociale incide moltissimo. Ragionando sulle due scuole, nel liceo classico i tassi di abbandono sono bassissimi. Crescono invece nel liceo artistico, dove il background sociale degli iscritti è spesso diverso».

La sua esperienza è coerente con ciò che emerge dalle rilevazioni Invalsi.

«I dati raccolti dalle prove Invalsi restituiscono un quadro in cui i licei classici ottengono punteggi molto elevati sotto tutti gli aspetti. Le altre realtà, invece, faticano nelle prove ministeriali. Per tentare di risolvere i problemi legati all’insegnamento nelle due scuole che dirigo a Vibo, ho provato a lanciare un’idea diversa di scuola. Io e un gruppo di docenti animati da buona volontà ci siamo riuniti per elaborare un’idea di scuola che fosse più accattivante, declinando le forme di apprendimento sugli interessi dello studente».

Ci racconta un esempio concreto?

«Le faccio un esempio: il progetto “Fare scuola fuori dalla scuola”. Abbiamo portato i ragazzi a essere protagonisti nella costruzione del processo di apprendimento rendendolo più pratico e meno teorico. Il progetto prevede, tra le altre attività, un laboratorio teatrale, uno musicale, lo studio dell’architettura ambientale, delle arti figurative, della grafica, del design del libro, del restauro del legno e tanto altro. Tutte queste attività le abbiamo trasportate in una location esterna, ricevuta gratuitamente del Comune».

Quali evidenze ha ottenuto da questo progetto?

«Che i ragazzi spesso a scuola si annoiano: il vero problema per chi opera nel mondo della scuola è catturare l’interesse degli alunni, fondamentale per avviare i processi educativi. Notiamo studenti annoiati, e le forme di apprendimento informale adottate per esempio nel progetto “Fare scuola fuori dalla scuola” spesso sono più efficaci di quelle ortodosso. Bisogna sfruttarle».

La sua è una regione particolare sotto molti aspetti. Cosa rileva di preoccupante per l’istruzione?

«La cose più preoccupanti in Calabria sono le problematiche connesse alla povertà delle periferie e alle difficoltà dei trasporti. I mezzi di trasporto pubblico non garantiscono non sempre coprono le tratte necessari a portare tutti gli studenti nelle scuole superiori. A volte sono le infrastrutture a essere inadeguate alla mobilità. Fare attività pomeridiane, ad esempio, crea grosse difficoltà perché non tutti i ragazzi riescono a parteciparvi».

E riguardo alla povertà?

«Parlo della povertà del tessuto economico, almeno di quello limpido. Nella nostra terra non abbiamo fondazioni o imprenditori illuminati che aiutano e sostengono le attività scolastiche. Gli enti locali sono distratti o, peggio, disinteressati all’istruzione. Vibo Valentia, economicamente, è la provincia più depressa di Italia. Se non ci fosse la buona volontà degli individui e delle famiglie che guardano con interesse e attenzione al processo formativo, la scuola calabrese sarebbe già affondata».

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