Le Sardine devono darsi un obiettivo se non vogliono scomparire – L’intervista

A Scampia bisognerà decidere se diventare un partito o un polo politico progressista, chi legittimare a livello territoriale e, infine, stabilire quali cause abbracciare e come portarle avanti

La piazza di Napoli del 18 febbraio ha messo in luce un problema da non sottovalutare: l’assenza di una chiara, univoca direzione politica. Se le Sardine vogliono sopravvivere a una naturale disgregazione, comune a tutti quei movimenti che nascono spontaneamente in reazione a una questione contingente – in questo caso l’avanzata del centrodestra nei territori italiani -, dovranno darsi una disciplina sociale. Farsi carico di alcune tematiche specifiche, interpretare una parte ben definita della miriade di anime che hanno trovato nelle Sardine uno sbocco di rappresentatività, nuotare verso lo stesso polo politico. Tutti gli altri, fuori dal banco.


È una selezione naturale: se le stesse Sardine la fermassero per cercare di essere inclusive ad ogni costo, il movimento andrebbe in contro all’estinzione. Ma c’è un secondo problema da risolvere per chi, dietro le quinte, tiene in piedi la macchina organizzativa: la mancanza di legittimazione delle figure intermedie. Non dei portavoce regionali, le Sardine hanno bisogno di individuare delle persone che, restando a contatto con i territori, siano anche in grado di comunicare le istanze locali in una dimensione nazionale. Ma soprattutto, c’è bisogno che queste figure vengano riconosciute dalle migliaia di Sardine, senza invidie per un protagonismo che può essere proporzionale solo alla capacità organizzativa dei vari gruppi.


Un’impresa non semplice per un movimento esploso in qualche settimana e che, a parte Mattia Santori, non ha espresso delle personalità attorno alle quali tutti possano ritrovarsi uniti. E sentirsi partecipi, ma in silenzio: la terza problematica che le Sardine dovranno superare è, forse, la più difficile. Vale a dire l’impresa di produrre dei leader muti, in grado di ottenere legittimazione per ciò che fanno e non per quanto appaiono in televisione. La riunione nazionale di Scampia del 14 e del 15 marzo servirà anche a questo: creare una piramide – necessaria, sarebbe utopistica una rappresentanza diretta – ma che sia meno verticale possibile. Una base inversamente proporzionale all’altezza. «Prima di un direttivo, prima di stabilire i referenti, dobbiamo fermarci e darci un obiettivo», dice a Open Maurizio Tarantino: una di quelle Sardine che, lontana dalle telecamere, fa parte del gruppo originario di Bologna e aiuta il movimento a organizzarsi.

Tarantino, tre referenti regionali hanno abbandonato le 6.000 Sardine: prima Stephen Ogongo nel Lazio, poi Vincenzo Petrone in Basilicata e adesso Bruno Martirani in Campania. Che sta succedendo?

«Sono tre questioni diverse tra loro. Ma se dovessi rintracciare un aspetto comune, direi che il problema principale è la sovraesposizione mediatica. Di base, questo movimento non ha avuto il tempo e forse la preparazione adatta per creare delle strutture legittimate a coordinare le varie realtà e a esporsi pubblicamente. È capitato spesso in tre mesi che alcuni referenti locali intervenissero in tv o sui giornali per pura iniziativa personale: il problema è che molti di loro non sono stati riconosciuti dalle altre Sardine dei territori e questo ha causato malumori. Malumori trasformatisi in una corsa al protagonismo. Per il caso lucano, quello del contestatore con l’aglio, si è trattato di una Sardina che non aveva raggiunto una sorta di legittimazione. Ma anche gli altri referenti della Basilicata comparsi sui giornali non venivano riconosciuti da tutte le persone scese in piazza».

E a Napoli cosa è successo?

«In Campania si sono scatenate molte gelosie tra le varie province quando si è arrivati al momento di decidere chi dovesse mettersi la faccia in quella regione. Si è creata così una situazione di stallo nella quale è stato difficile organizzarsi, conoscersi, e si è arrivati a perdere di vista il fine delle Sardine: stare in mezzo alla gente per dare una rappresentanza politica alle persone inascoltate. Questi problemi di legittimazione sono dovuti all’eccessiva velocità di sviluppo del movimento. Non siamo riusciti a creare una sorta di direttivo in grado di muoversi sui territori, fare delle assemblee e legittimare i referenti locali. Ma non è andata sempre male: la Puglia, ad esempio, è un caso virtuoso di auto-organizzazione e sintonia delle varie anime locali».

Quindi il prossimo step è creare un direttivo?

«Parlo a titolo personale: prima di stabilire un direttivo nazionale le Sardine devono prefissarsi un obiettivo chiaro e convergere su quello. Le domande da porsi a Scampia sono due: vogliamo diventare un partito o vogliamo diventare un polo, un’alternativa progressista? La risposta non può essere quella di restare un’associazione culturale perché, primo, resterebbero le problematiche di cui sopra. Secondo, c’è bisogno di qualcosa di più autorevole se vogliamo proseguire il dialogo con i ministeri e gli attori istituzionali. Personalmente, credo che la soluzione più giusta sia quella di diventare un polo progressista, di sinistra: abbiamo riempito un vuoto di rappresentanza per migliaia di persone e abbiamo creato un’aspettativa enorme. Abbiamo bisogno di essere qualcosa in più di un’associazione per arrivare a influenzare la classe politica di riferimento».

Vi accusavano di non parlare di temi, adesso che state provando a portare dei temi nei territori vi attaccano comunque.

«Ovvio, perché prima di portare avanti le proposte devi legittimare una struttura. Altrimenti qualsiasi azione viene considerata un’iniziativa personale. Al di là dei temi, bisogna cucire un coinvolgimento dal basso e renderlo costante, efficace. Questo non avviene ovunque e ha due cause. La prima è sempre quella della velocità di esplosione del movimento. La seconda è la laicità delle Sardine: spesso, per una questione generazionale o per mancanza di una cultura politica adeguata, non si prendono delle posizioni di chiaro indirizzo politico».

A Scampia, nell’ordine, bisognerà decidere: se diventare un partito o un polo politico progressista, chi legittimare a livello territoriale e, infine, stabilire quali cause abbracciare e come portarle avanti. Corretto?

«L’ordine è giusto, ma non so se saremo in grado di fare tutto già da Scampia: sicuramente un’embrionale legittimazione di alcune figure dovrà esserci. In generale, tutto si può risolvere se prima rendiamo chiaro e condiviso il nostro obiettivo. Da varie aree politiche della sinistra ci sono arrivate delle proposte, ma sono vincolate a una definizione più chiara del nostro essere Saridne».

Avete già individuato dei portavoce?

«Più che dei portavoce abbiamo bisogno di persone brave sul piano organizzativo e nella gestione dei rapporti interpersonali. Troppe volte, in Italia, abbiamo assistito a leader carismatici che poi, sul piano organizzativo, hanno rivelato la propria inconsistenza: moltissime energie prodotte dal basso si sono disperse per questa ragione.

Temete altre defezioni?

«Non escludo che ci potranno essere delle defezioni, ma è naturale: quando un fenomeno è così rapido e dirompente, non ci si può aspettare che chiunque l’abbia cavalcato all’inizio possa riconoscersi nella sua sedimentazione».

L’ultimo ad aver lasciato il movimento è Bruno Martirani, la Sardina campana che è uscita dal gruppo dopo aver preso parola sul palco di piazza Dante, a Napoli. «Non possiamo prescindere dalla nostra natura: Bruno, purtroppo, ha compiuto due azioni che non sono compatibili con le Sardine – conclude Tarantino -. È salito sul palco, quando era stato deciso che avrebbero parlato solo i lavoratori, per fare un discorso in politichese, molto vicino al linguaggio degli antagonisti. Le Sardine non sono antagoniste, cercano il dialogo. Ma ancora più grave, ha dato rilevanza a uno striscione su cui c’era scritto “Pd uguale Lega”. Noi non la pensiamo così, il Pd è un nostro interlocutore, la Lega non lo sarà mai».

Tarantino racconta che dopo l’intervento Martirani è sceso dal palco ed è corso via con un gruppo di persone presenti in piazza, le stesse che avevano portato quello striscione: erano membri del centro sociale Zero81. «Anche per questa ragione abbiamo capito che era in corso una contestazione organizzata». Martirani, in alcune interviste, ha dichiarato: «Arrivato a casa ho scoperto che i burattini napoletani di Santori e friends mi avevano cancellato dalle chat interne e dalla gestione della pagina e del gruppo Facebook che, tra le varie cose, avevo creato personalmente».

«È importante – ed è la dichiarazione più pesante fatta dalla ormai ex Sardina – che tutti sappiano di fronte a cosa si trovano quando si parla di Sardine. La partecipazione e la democrazia sono molto lontane da questa storia. Napoli non è Bologna, il Mezzogiorno non è l’Emilia. Il cambiamento, a maggior ragione dalle nostre parti, non potrà di certo partire da qui». Stefano Di Vaio, membro del coordinamento campano, racconta a Open cos’è successo e perché Martirani non fa più parte delle chat e dei gruppi Facebook.

«Conosco molto bene Bruno, siamo amici e abbiamo lavorato insieme alla realizzazione di alcune iniziative in Campania. Ci siamo dati delle regole per gestire la piazza di Napoli e, tra queste, avevamo deciso che non saremmo saliti noi a parlare sul palco. Per una semplice ragione: volevamo che il protagonista della manifestazione del 18 febbraio fosse il lavoro e per questo avrebbero dovuto parlare solo i lavoratori della Whirlpool e delle altre vertenze in corso».

Cos’è successo a quel punto?

«Bruno è salito autonomamente sul palco, ha preso il microfono e ha dato voce a quello striscione dove c’era scritto “Pd uguale Lega”. Le Sardine sono un movimento che guarda alla sinistra, come si può sostenere sul nostro palco una cosa del genere e, tra l’altro, fuori tema? Ed è grave anche perché le nostre piazze sono sempre state senza bandiere».

Non potevate parlarci prima di procedere all’esclusione dal gruppo Facebook?

«Quella è stata un’auto-esclusione, ha scelto Bruno di non voler più far parte delle Sardine: se in un evento pubblico distruggi, con le tue azioni, tutte i valori fondanti del movimento come puoi restarci dentro? Ad ogni modo, avremmo voluto parlarci: ma subito dopo la sua sceneggiata sul palco è corso via con un gruppo di persone che erano lì per sostenere il suo gesto. L’esclusione dalla pagina Facebook è stata una cautela inevitabile: è una pagina che usa il logo e il motto delle 6.000 Sardine, c’era il rischio che Bruno e il suo gruppo del centro sociale la utilizzassero per scriverci pensieri personali».

C’è rammarico?

«Sono rimasto molto deluso, l’obiettivo era parlare di lavoro, fare da megafono agli immensi problemi che vivono molti operai in Campania. Una piazza del genere non dovrebbe essere mai contestata: le vittime di quello che è successo non sono le Sardine, ma i lavoratori che hanno una vita precaria da anni. A livello personale pure, sono molto deluso da Bruno: la mattina prima della manifestazione era in fabbrica con noi, alla Whirlpool. Abbiamo condiviso insieme il comunicato su De Luca. Nessuno poteva immaginarsi che sarebbe successo, da sempre avevamo lavorato insieme alla causa delle Sardine campane».

Eppure Martirani, definitosi leader delle Sardine campane, dice di essere stato cacciato.

«Non ci può essere nessun leader cacciato perché, banalmente, non esistono leader nelle Sardine. Purtroppo ci sono dei protagonismi che stanno emergendo nei territori e che minacciano l’esistenza stessa delle Sardine, nate per riempire le piazze e non per accendere i riflettori su qualcuno. La nostra colpa è stata non fare assemblee prima di questa piazza, forse ci siamo adagiati un po’ a livello organizzativo dopo la buona riuscita della manifestazione dello scorso 30 novembre».

Qual è la situazione, adesso, nel gruppo campano?

«Le altre Sardine campane sono rimaste tranquille: siamo molto affiatati. Ci incontreremo il prossimo weekend per organizzare un paio, forse tre assemblee pubbliche perché è arrivato il momento di aprirci e parlare con chiunque sia interessato a discutere di anti-camorra, ambiente, lavoro. Ho in mente un sistema di assemblee per alimentare la massima partecipazione. Non siamo un “io”, non dobbiamo essere come i grandi partiti che si rinchiudono nei palazzi. Noi siamo “gente”, sim romanticism, sim creatività: la grande bellezza delle Sardine è la piazza, di nuovo, piena di persone comuni».

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