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«Tecnicamente il Coronavirus è già una pandemia. Ma la sfida si gioca nei pronto soccorso, non ai confini» – L’intervista al virologo Lopalco

23 Febbraio 2020 - 06:58 Sara Menafra
«Potrebbero esserci altri focolai d'infezione, tutti separati tra loro. Bisogna essere pronti, ma il panico non serve»

Da Paese poco esposto a primo in Occidente per contagiati. L’Italia ha fatto un salto in poche ore e la preoccupazione ha iniziato a diffondersi. E con essa la ricerca di ulteriori chiarimenti. «La strada migliore – spiega Pierluigi Lopalco, professore di Igiene e medicina preventiva all’università di Pisa che sta studiando l’andamento del Coronavirus giorno per giorno – è mantenere la calma ma anche accettare che i sanitari devono preparare lo scenario peggiore proprio per prevenirlo». Nelle scorse ore, il professor Lopalco ha pubblicato sul suo profilo Twitter una immagine, spiegando che nelle prossime settimane, l’infezione Covid2019 potrebbe avere una “curva anomala”.

Twitter | L’immagine diffusa dal virologo Lopalco: il virus h1n1 è la curva grigia. Covid19 potrebbe avere un andamento analogo

Professore, cosa dobbiamo aspettarci?

«Faccio una premessa: al momento gli scenari sono due. Come cittadino devo conoscerli entrambi, come sanitario mi devo attivare pensando subito a quello peggiore, anche se non c’è ancora certezza. Al momento, dunque c’è l’ipotesi migliore, che però diventa sempre meno probabile di ora in ora, che ci sia un unico focolaio nel nord Italia.

Una persona che è sfuggita ai controlli, non ha detto che era andato in Cina e ha contagiato altri, creando poi una seconda e terza generazione di malati. Se lo scenario è questo, la macchina che si è attivata in questi giorni riuscirà rapidamente a contenere il focolaio e a riportare la situazione sotto controllo».

E lo scenario numero due?

«I punti da cui è partito il contagio potrebbero essere più di uno. Persone che sono tornate dalla Cina alle loro attività, magari con sintomi lievi e non si sono preoccupati di avvisare che sono state in zone a rischio, avviando così più di un focolaio. In questo caso, la probabilità che il virus circoli diventa alta».

Cos’è l’onda anomala del virus?

«Uno scenario simile alla pandemia h1n1 del 2009: non ha seguito nessun tipo di regola e stagionalità e ha fatto la sua onda creato un suo picco. Rispetto a h1n1, il coronavirus troverà molte persone suscettibili di contagio perché è un virus nuovo, che ha appena fatto il salto da animale a uomo.

L’h1n1 era simile a virus che erano circolati in passato, anche in Europa, proprio per questo gli anziani furono tutto sommato graziati. Questo virus trova meno anticorpi e può essere più veloce nel diffondersi. È uno scenario a cui bisogna prepararsi, anche sperando che venga smentito. Soprattutto, deve prepararsi il personale sanitario».

Come ci si prepara?

«Prima di tutto, bisogna smettere di discutere di confini aperti o chiusi. La sfida si gioca nei pronto soccorso, tra i medici di famiglia, gli infermieri che devono tutti dotarsi di strumenti per la protezione individuale. La vera frontiera sono le strutture ospedaliere, specie quelle piccole. L’Italia non ha una cultura di protezione in questo senso: ogni anno i sanitari finiscono a letto per l’influenza, bloccando anche interi reparti. Ecco, in questo caso non deve accadere».

Quanto è pericoloso il virus? Nei giorni scorsi si parlava di un tasso di mortalità del 2%,  è ancora cosi?

«La valutazione è basata sul rapporto tra contagiati e decessi, per come sono stati registrati. È possibile che i contagiati con sintomi lievi non siano stati segnalati e dunque il tasso sia minore. Ma non è un virus influenzale e lo si vede. Produce casi più gravi, in maniera più frequente, su persone che non hanno nessuna condizione di debolezza di salute. Non va generato il panico ma neppure banalizzato il pericolo o finiamo per tranquillizzare troppo. Certo, non è la Sars che aveva un tasso di mortalità molto alto».

Al momento la cronaca ci fa pensare che ci siano focolai diversi: il caso di Codogno, quello di Vo’ Euganeo e quello di Milano sembrano separati.

«Effettivamente non sembrano collegati. Possiamo ipotizzare un link intermedio, ma stiamo parlando di fantasia. Dunque, appunto, è possibile che si tratti di casi separati, simili allo scenario due di cui sopra».

Nello scenario di più focolai cosa è importante fare?

«Serve una sorveglianza attiva in tutti gli ospedali italiani. Chi è risultato negativo al virus influenzale potrebbe però essere positivo al coronavirus. E battere sulla prevenzione delle infezioni da parte dei sanitari, ancora poco diffusa. Non mi preoccupano il Sacco di Milano, lo Spallanzani di Roma o il Cotugno di Napoli, ovviamente, ma nelle piccole strutture si sottovaluta molto».

L’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe dichiarare che si tratta di una pandemia?

«Tecnicamente quella in atto è già una pandemia. La dichiarazione di pandemia è solo un fatto formale, è quando è partita l’emergenza internazionale che l’Oms ha attivato gli strumenti necessari per mobilitare gli stati membri. Se l’Oms dovesse scegliere questa strada, sulla base dei dati raccolti, per i cittadini non cambierà assolutamente nulla. Ma l’Oms chiederà agli stati ricchi i soldi necessari a controllare il virus nei Paesi poveri, che rischiano di più».

Quando verrà eventualmente presa la decisione?

«L’Organizzazione mondiale della sanità fa una valutazione settimanale, è lì che si decide aggiornando costantemente i dati».

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