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Disuguaglianza di genere, aumenta il lavoro part-time tra le donne e persiste il divario retributivo – I dati Istat

26 Febbraio 2020 - 21:27 Redazione
Rispetto ai primi tre trimestri del 2007 il lavoro part-time involontario tra le donne è quasi raddoppiato: dal 34,9% al 60%

La precarizzazione del lavoro ha anche una chiara componente di genere e sono le donne generalmente ad essere svantaggiate rispetto agli uomini. Nel caso servissero ulteriori conferme in merito, le ha fornite Laura Sabbadini, direttore della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche dell’Istat nel suo intervento in un’audizione alla Commissione Lavoro della Camera.

Al netto di un tasso di disoccupazione più o meno stabile attorno al 9,8% (28,9% tra i 15-24enni), secondo i dati dell’Istat di dicembre il Paese ha registrato un record di precari: sono 3 milioni e 123 mila in totale. Gli stessi dati avevano parlato di un aumento nel tasso di occupazione tra le donne e gli over 50, con 27mila più occupati in queste categorie.

Effettivamente negli ultimi quarant’anni il tasso di occupazione femminile è cresciuto di 4,8 punti percentuali e il divario di genere si è diluito da 41 punti a 18, come conseguenza anche di una riduzione nel tasso di occupazione maschile, che è diminuito di 8 punti percentuali dal 74,6 al 67,6%. Un trend confermato anche negli anni della crisi: dal 2007 al 2019 il gap di genere nei tassi di occupazione è diminuito di 6,3 punti percentuali.

Ci sono ovviamente delle differenze tra Nord e Sud: nel 2018 nel Mezzogiorno lavorava solo il 32,2% delle donne per esempio, contro il 59,7% nel Nord. In generale il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa (circa 18 punti su una media europea di 10) e le donne tendono ad avere lavori più precari, meno remunerati e ad essere sotto-rappresentante in posizioni apicali.

Aumenta il lavoro part time involontario, soprattutto tra i più giovani

Al netto di un aumento nel lavoro dipendente – in 10 anni, dal 2008 al 2018, sono aumentate le posizioni a tempo indeterminato (+370 mila) e a tempo determinato (+273 mila) – le donne che lavorano a tempo determinato sono 17,3% nella media dei primi tre trimestri 2019. Quelle in part time sono ormai il 32,8%, contro l’8,7% degli uomini. Una quota ancora più elevata tra le donne più giovani (35,1% fino a 34 anni).

Nel 60% dei casi si tratta di una componente involontaria, non un tentativo di conciliare il lavoro con altri aspetti della propria vita: nel 2007 era soltanto il 34,9%. Parliamo di un fenomeno diffuso nei settori più diversi, dall’alberghiero al mondo della ricerca, e che investe anche chi ha un lavoro a termine: nei primi tre trimestri del 2019 il 43,% delle lavoratrici aveva un lavoro a tempo determinato.

Guardando più da vicino il mondo della ricerca, tra le donne che hanno ottenuto un dottorato nel 2012 il 41,6% ha stipulato un contratto a tempo determinato, il 22,2% svolge un lavoro di collaborazione, il 15,2% riceve un assegno di ricerca o una borsa di studio, mentre la composizione per i dottori maschi è rispettivamente 48,9%, 18,5% e 12,6%.

Paghe basse e prospettive di carriera inferiori agli uomini

L’inserimento nel mondo del lavoro rimane più difficile per le donne rispetto agli uomini nonostante le donne vantino livelli di istruzione più elevati. Se la sovraistruzione cresce anche per gli uomini, lo fa maggiormente per le laureate e le giovani fino ai 34 anni: nella media dei primi tre trimestri del 2019, rispettivamente il 35,2% e il 42% hanno faticato a trovare un lavoro all’altezza della propria formazione.

Non solo, a parità. di ruolo persiste anche il divario salariale. Se è molto basso nel settore pubblico (dati del 2017), nel settore privato il “gender pay gap” è di molto maggiore: 20,7%. Guardando al reddito, nel 2017 quello delle donne è in media del 25% inferiore a quelli degli uomini (15.373 euro rispetto a 20.453 euro).

Persiste anche la sotto-rappresentazione delle donne in posizioni apicali. La presenza femminile negli organi decisionali (Corte Costituzionale, Csm, Ambasciate ecc. ) è in media solo il 16,8%. Nel privato, invece, nei consigli di amministrazione le donne sono circa il 36,4% del totale.

Ma ci sono anche segnali positivi: le donne magistrato in 23 anni sono passate dal 25,8% a oltre il 50%, ad esempio. Anche in politica ci sono stati dei miglioramenti: dopo le elezioni del Parlamento europeo, la rappresentanza italiana di donne è aumentata al 41% mentre in quello italiano dal 30,7% della precedente legislatura al 35,4% dell’attuale.

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Foto di copertina: Anggun Tan on Unsplash

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