Coronavirus. Nel cantiere di Milano che ha appena riaperto: «Qui rispettiamo le norme, ma altrove non è facile. Speriamo in più controlli»

«I cantieri più piccoli devono fare i conti con la burocrazia, l’assenza di formazione degli operai e la scarsa chiarezza», spiega Cecilia Hugony, titolare dell’impresa di costruzioni Teicos. Su decine di cantieri contattati da Open, solo il suo ha accettato di aprirci le porte

Andrea arriva al cantiere di via Valsesia, a Milano ovest, con in braccio uno scatolone di guanti di lattice. Sono le 7:40 del 4 maggio, giorno in cui tutti i cantieri d’Italia possono ripartire dopo più di un mese di lockdown da Coronavirus. Andrea è capocommessa della Teicos, un giovane ingegnere che per l’occasione è stato incaricato di studiarsi i protocolli forniti dal governo per la cosiddetta «ripartenza in sicurezza». Entrando al cantiere sa già che i tempi di lavoro saranno diversi da “prima”: stavolta in particolare, quasi un’ora sarà portata via dall’allestimento del cantiere e dalla prima formazione preliminare di tutti gli operai.


È una data spartiacque per il mondo del lavoro. Se dal punto di vista della vita sociale cambierà poco o niente, per gli operai e i dipendenti che torneranno nei cantieri e nelle fabbriche l’inizio della Fase 2 significa provare a ricominciare nonostante la pandemia. Anche – e soprattutto- al Nord: stando a un’analisi dei consulenti del lavoro, basato sui microdati Istat, sarà proprio nelle regioni più colpite dal Covid-19 che si vedrà la percentuale più alta di ritorni.


Non sono ancora le 8 e sul cantiere di via Valsesia sono già arrivati i primi lavoratori, poggiati all’ingresso della palazzina che a breve riprenderanno a ristrutturare. Sono 16 in totale e quasi tutti sono venuti in macchina. Uno ha scelto di approfittare delle nuove disposizioni per venire in sella alla bici. «Così avrai la temperatura alle stelle e non ti faranno entrare!», gli dice scherzando un collega. Prima di ricominciare a tirar su secchi e camminare sulle impalcature, infatti, ognuno di loro dovrà certificare con un termometro di non avere la febbre.

Open | Operai al cantiere di via Valsesia, Milano, 4 maggio 2020

Hanno gli stessi elmetti e gli stessi guanti di sempre, ma da oggi alla divisa antinfortunistica dovranno aggiungere la mascherina anti-Covid19. Qualcuno di loro non lavora da metà marzo, e cioè da quando la divisione tra attività essenziali e non essenziale ha bloccato gran parte dei cantieri. «Non so se sia giusto o meno riprendere oggi», dice uno di loro. Si è già cambiato e indossa i classici jeans macchiati da vecchie fatiche. «Quello che so è che abbiamo un sacco di lavoro arretrato». Si fanno largo a scaglioni oltre le recinzioni e, dopo mesi di silenzio, nella palazzina tornano a sentirsi i rumori degli attrezzi e gli odori della polvere. Eppure non è tutto come lo avevano lasciato: ci si muove in punta di piedi, quasi spaesati.

La prima criticità: gli spazi

Nonostante il primo calcio alla palla sia stato tirato, la domanda fondamentale non è risolta: le linee guida fornite dello Stato basteranno a garantire la sicurezza sul lavoro nei giorni in cui il virus uccide ancora centinaia di persone ogni 24 ore? Di decine di imprese contattate per Open da Ance, l’Associazione nazionale costruttori edili, solo una si è resa disponibile a ospitare le riprese. In buona parte dei cantieri, la paura è quella di avere qualcosa fuori posto. Di mostrare qualcosa che non sia a norma con le condizioni di sicurezza necessarie a garantire la salute degli operai. Che sia così o meno, è certo che i dubbi sul “come fare” sono ancora ben lontani dall’essere risolti.

«Che esista un protocollo e delle linee guida è già qualcosa», dice l’architetto Davide Andreoli, responsabile della sicurezza sul cantiere. «Nel periodo tra fine febbraio e inizio marzo, quando tutto era ancora attivo, non si sapeva nulla». Ora, ad esempio, sanno che è meglio scagionare gli ingressi in tre tornate, che è meglio dividere gli operai per gruppi nella pausa pranzo rigorosamente all’aperto. Che è meglio dividerli ancora al momento dell’uscita e al momento dell’entrata negli spogliatoi.

Tra i doveri messi nero su bianco dalle istituzioni ora si parla di distanziamento sociale, di rifornitura dei dispositivi di protezione individuale e la sanificazione periodica degli ambienti. C’è l’obbligo della misurazione della temperatura all’ingresso, la divisione delle squadre di lavoro, il rifornimento di saponi e disinfettanti. Tutte precauzioni e accortezze che il gruppo Teicos ha messo in campo fin dal primo lunedì, ma che hanno significato una preparazione preliminare non banale.

Open | Uno dei punti di sanificazione individuale al cantiere di via Valsesia, Milano, 4 maggio 2020

E infatti, se alcune di queste sono disposizioni possono essere attuate con maggiore facilità, altre necessitano di spazi appositi e di permessi comunali ad hoc. Come spiega Cecilia Hugony, a capo dell’impresa edile, i veri problemi si hanno nei cantieri piccoli. Il 4 maggio hanno ripreso 12 dei suoi e, in quello di Via Valsesia, sono stati fortunati: hanno potuto duplicare lo spazio destinato agli spogliatoi e contare su un responsabile della sicurezza preparato.

Ma nei siti più piccoli, l’unico spazio in più che si poteva ricavare per mantenere le distanze era il marciapiede davanti al cantiere. Per chiedere l’autorizzazione a occupare il suolo pubblico, però, ci vogliono come minomo 3 mesi di procedure. «C’è bisogno di collaborazione tra comune e imprese», spiega. «Non possono dirci di riaprire e lasciarci in balia delle difficoltà». La sensazione comune è che tutto sia lasciato al buonsenso delle imprese e che i luoghi di lavoro non sicuri saranno più di quanto previsto.

La seconda criticità: la formazione degli operai

Oltre al problema della logistica, c’è quello della formazione. Spesso gli impiegati nei cantieri dipendono da altre piccole realtà in appalto, che non di rado scelgono di non investire nella formazione e nella sicurezza. «Molte realtà con cui ci siamo trovati a lavorare – spiega Hugony – non hanno brillato per professionalità da questo punto di vista». Non è scontato, insomma, che tutte le imprese forniscano ai lavoratori le informazioni necessarie.

«Gli operai non possono semplicemente prendere e tornare al cantiere», spiega Hugony. «È necessario che qualcuno li accompagni. Che qualcuno gli dica, ad esempio, che il secchio non va riempito fino all’orlo ma solo a metà, così da non aver bisogno di un collega che ti aiuti a sollevarlo».

Ora la speranza, dice Hugony, è che i controlli vengano fatti davvero. Che chi di dovere (e cioè le squadre di vigilanza disposte nei vari comuni) si assicuri che in ogni cantiere rispetti le linee guida. Perché certo, esempi virtuosi come questo esistono. Ma è sufficiente questa consapevolezza a farci accettare il rischio a cui sono esposti tutti gli altri?

Video di copertina: riprese Giada Ferraglioni; montaggio Vincenzo Monaco

Foto copertina: Open | Misurazione della temperatura a un operaio al cantiere, 4 maggio, 2020

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