Truffa in Vaticano, così il broker Torzi ha ricattato il Papa per estorcere 30 milioni

Da intermediario assoldato dalla segreteria di Stato, l’uomo d’affari molisano avrebbe esercitato pressioni per farsi corrispondere milioni di euro

Mentre il broker Gianluigi Torzi è rinchiuso in una delle tre celle della caserma della Gendarmeria vaticana, accusato di peculato, truffa e autoriciclaggio, si delineano i contorni di un ricatto che avrebbe permesso al broker di incassare 15 milioni di euro. «Un grosso malinteso», lo definiscono, piuttosto, i legali dell’uomo di affari molisano. Ma il Vaticano ha chiesto intanto alla magistratura svizzera di procedere al sequestro di conti bancari con depositi milionari. Conti, non solo quello di Torzi: nella vicenda risulterebbero coinvolti anche uomini della Santa Sede. Enrico Crasso, gestore delle finanze della segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, responsabile dell’ufficio amministrativo della segreteria, Raffaele Mincione, gestore dell’Obolo di San Pietro e il monsignor Alberto Perlasca, ex amministratore della cassa di segreteria. I loro depositi in Svizzera sono stati congelati, mentre il monsignor Mauro Carlino è un altro nome che si aggiunge alla lista degli indagati per estorsione.


L’immobile di Londra

La vicenda ruota intorno all’acquisto dell’immobile londinese di Sloane Avenue e gli esordi risalgono al lontano 2014. La segreteria di Stato sottoscrive il fondo “Athena Capital Global Opportunities”, gestito da una società d’investimento con a capo proprio Mincione. Quando il fondo da lui gestito, senza rispettare le linee guida del Vaticano, inizia a mettere in atto azioni speculative, la segreteria di Stato comincia a preoccuparsi. La Santa Sede aveva infatti utilizzato i soldi dell’Obolo di San Pietro per finanziare il fondo di Mincione, investendo 200 milioni e 500 mila dollari. Parte di quel denaro era servito ad acquistare il 45% dell’immobile di Londra. Le azioni speculative di Mincione, però, portano il fondo a perdite di decine di milioni di euro, così la segreteria di Stato contatta il broker Torzi per mediare con il fondo di Mincione: l’obiettivo della trattativa è cedere le quote acquistate e rilevare, in cambio, l’intero immobile.


Il ricatto

L’accordo con Mincione è raggiunto attraverso il versamento di 40 milioni a titolo di conguaglio, esborso che fa lievitare il prezzo di Sloane Avenue a 350 milioni di dollari. Ma deve ancora consumarsi l’ultima truffa, quella che ha fatto scattare l’arresto del broker e i sequestri dei conti svizzeri. La segreteria di Stato acquista dalla società intermediaria di Torzi, “Gutt Sa”, 30 mila azioni al valore simbolico di un euro, al fine di entrare definitivamente in possesso dell’immobile, per il quale la società del broker stava facendo da intermediaria. Ma Torzi, contestualmente, interviene sul capitale della sua società, introducendo accanto a quelle 30 mila azioni senza diritto di voto, altre mille azioni a lui intestate con diritto di voto. Così il broker ha il pieno controllo sull’immobile: l’obiettivo sarebbe quello di fare pressioni e richieste economiche al Vaticano. Nonostante le sue assicurazioni, come riporta Repubblica, di voler restituire le sue azioni residue, come avrebbe detto anche in un incontro a Santa Marta al quale ha partecipato papa Francesco per pochi minuti. Dei 30 milioni di euro chiesti a Torzi per la cessione definitiva delle nuove quote, il Vaticano alla fine gli corrisponde la metà, 15 milioni di euro.

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