Suicida l’attivista egiziana Sarah Hegazy. Era stata arrestata per una bandiera arcobaleno

Sono in tanti a ricordarla in queste ore su Twitter e sui social con l’hashtag #RaiseTheFlagForSarah

«Sei stato estremamente crudele. Ma io perdono». Ci aveva già provato, questa volta ci è riuscita, e proprio nel mese del Pride. Sarah Hegazy, 30 anni, un’attivista egiziana per i diritti Lgbtq+, si è tolta la vita nelle scorse ore in Canada. Lì aveva trovato asilo e viveva in esilio da due anni, dal 2018. Il suicidio è stato confermato dal suo avvocato, a darne notizia, tra gli altri, il canale Al Jazeera. Sarah era stata arrestata e reclusa in carcere in Egitto per aver sventolato una bandiera arcobaleno a un concerto: aveva subito torture, umiliazioni, maltrattamenti ed era stata stuprata.


«Ai miei fratelli, ho cercato di sopravvivere e non ce l’ho fatta. Perdonatemi. Ai miei amici, quello che ho subito è stato crudele e sono troppo debole per resistere. Perdonatemi. A te, mondo, che sei stato terribilmente crudele. Ti perdono», ha scritto sul biglietto di addio.


L’arresto e le torture

Nell’ottobre 2017 l’attivista era stata arrestata al Cairo insieme a molte altre persone perché aveva sventolato una bandiera arcobaleno simbolo del movimento Lgbtq+ durante un concerto della band libanese Mashrou’ Leila: si tratta di uno dei gruppi più amati del Medio Oriente, il cantante Hamed Sinno è dichiaratamente gay. Sarah si trovava a quel concerto insieme a degli amici e attivisti della comunità Lgbtq egiziana, tra cui Ahmed Alaa, anche lui poi arrestato, rilasciato e fuggito all’estero.

Una televisione locale ha ripreso il gesto, raro ed eclatante nel Paese guidato da Abdel Fattah al Sisi. Da lì l’arresto. L’accusa, per Sarah, era stata quella di «promozione della devianza e della dissolutezza sessuale», di «diffondere l’omosessualità», di far parte di «un gruppo volto a danneggiare la pace sociale» in Egitto. In prigione la donna sarebbe stata vittima di torture, maltrattata, umiliata e stuprata, e avrebbe già tentato il suicidio. Rilasciata su cauzione, era andata in Canada dove aveva cercato asilo.

«Grazie per il tuo coraggio, grazie per la tua lotta. Spero che nel mese dei Pride verrai ricordata», scrive su Twitter il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury. Sono in tanti a ricordarla in queste ore su Twitter e sui social con l’hashtag #RaiseTheFlagForSarah

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