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I malati fantasma delle terapie intensive: i ricoverati sono molti di più di quelli ufficiali. Ecco perché

A partire dall'8 maggio i dati cumulativi sulle terapie intensive non comprendono pazienti ancora gravemente malati (a causa del Covid-19 o di complicanze a questo legate) ma che risultano guariti dal Coronavirus

Un dato su tutti ha acceso il dibattito sullo stato del Coronavirus nella fase delle riaperture: quello delle terapie intensive. Il repentino calo dei numeri relativi ai posti letto occupati nei reparti più critici (ieri dati sotto quota 200 come non accadeva dal 2 marzo) ha portato virologi, esperti e politici a confrontarsi sullo stato di pericolosità del virus a distanza di quasi 4 mesi dal primo caso. Eppure, pur essendo i dati indubbiamente più incoraggianti rispetto quelli di marzo e aprile, alcuni cambiamenti nei conteggi dei casi fanno pensare che, almeno per quanto riguarda le terapie intensive, lo stato attuale delle cose sia più problematico del previsto.

Accanto al report settimanale dell’Istituto superiore di Sanità, a scandire il ritmo epidemico in Italia è il bollettino quotidiano della Protezione Civile. I dati incasellati riportano quanto comunicato quotidianamente dalla singole Regioni al Ministero della Salute. A partire dall’8 maggio però – a 4 giorni dalla fine del lockdown e della Fase 1 – c’è stato un cambiamento importante nella selezione dei casi da comunicare: da quel giorno rimangono fuori dal totale quei pazienti che, nonostante restino ospedalizzati, sono guariti dal Covid-19 – e che, cioè, risultano “negativizzati”. Una larga fetta di pazienti prima considerati nella somma, dunque, sono scomparsi dalle tabelle: le persone ancora ricoverate in terapia intensiva (finite lì a causa del Sars-Cov-2) ma che risultano attualmente negativi ai tamponi non vengono più inclusi nel dato cumulativo finale.

La decisione di escludere i negativizzati dai conteggi sarebbe stata presa – dicono a Open dalla Protezione Civile – dal Ministero della Salute, che si occupa di organizzare i dati poi da loro comunicati. Secondo quanto dichiarato dalla Regione Veneto, invece, la richiesta sarebbe arrivata dall’Iss (contattato da Open ma dal quale, al momento, non ha ricevuto risposta). In ogni caso, una larga fetta di pazienti che ha avuto a che fare con il Covid19 – e che ancora ne paga le conseguenze a livello di salute – è ora fuori tracciamento.

L’unica Regione a farne tuttora menzione sembra essere il Veneto – come confermato anche da Lorenzo Ruffino di YouTrend, che da tempo si occupa (tra mille difficoltà) di tracciare i movimenti dei ricoveri. Nel riportare i dati quotidiani, la Regione e l’Azienda Zero territoriale fanno ancora un distinguo alla “vecchia maniera”: ieri 15 giugno, ad esempio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva a causa del Covid-19 erano 13. Di questi, solo 1 risultava ancora positivo e – di conseguenza – il bollettino della Protezione Civile di ieri riportava 1 solo caso di assistenza respiratoria in tutto il territorio.

Quali conseguenze?

Secondo il virologo Fabrizio Pregliasco – docente di Igiene e medicina preventiva all’ Università Statale di Milano, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi e Presidente Anpas – si tratta di un vero «pasticcio». «Se fosse davvero così è possibile che ci si esponga a incomprensioni importanti», ha commentato. «Per comprendere la portata della scelta e sulle sue conseguenze bisognerebbe quantomeno specificare perché un paziente è andato in terapia in tensiva – e cioè se il Covid-19 sia stato un motivo secondario o se, come temo, cruciale».

Secondo Pregliasco, a creare più problemi sarebbe il fatto che a determinate scelte non è seguita una spiegazione più approfondita dei dati comunicati. «È ovvio che un dato con una granularità maggiore potrebbero permettere un’analisi più precisa dello stato attuale della pandemia», ha aggiunto Pregliasco. «È anche chiaro che, però, si tratta di dati che servono alla comunicazione generale e che si tende a semplificarli il più possibile».

Resta da chiarire dove siano finiti questi dati esclusi – e dove finiranno. Se sono stati solamente lasciati fuori dai conteggi o se sono andati a confluire nei guariti (una conta difficile non avendo i dati particolari di tutte le somme). E, ancora, bisognerebbe chiarire se – in caso di decesso – questi pazienti verranno conteggiati o meno tra le morti legate al Covid-19.

Il dato sulle terapie intensive “positive”

Intanto, pur avendo registrato in linea generale una diminuzione nei malati gravi da Covid-19, nuovi malati continuano a finire in terapia intensiva. Dando un’occhiata ai numeri giornalieri forniti dalla Protezione Civile, ogni giorno qualche regione registra un aumento del dato totale: nei dati diffusi il 15 giugno, ad esempio, il Piemonte ha registrato +2 casi di terapie intensive rispetto al giorno precedente e la Sicilia +1. Stessa sorte per il Friuli Venezia Giulia il giorno precedente (+1), per Toscana (+2) e Veneto (+1) e Lazio (+1) di venerdì.

Il dato, comunque, è cumulativo. Non si specifica quanti siano quel giorno i ricoverati e quanti siano stati i dimessi. Ad esempio, per quanto riguarda la Lombardia – regione in testa per numero di posti letto occupati nelle Terapie intensive – non viene dichiarato se la stabilità del dato (fermo a 94 da 2 giorni) sia il frutto di una reale stabilizzazione o se sia il risultato di due dimissioni e due ingressi in reparto. Un’omissione che riguarda quasi l’intera penisola e che, stando a Ruffini, complica non poco la ricostruzione di un quadro esaustivo della pandemia in Italia.

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