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Perché gli altri Paesi non chiedono il Mes? I veri rischi del fondo e quello che il governo italiano non dice

30 Giugno 2020 - 07:00 Federico Bosco
L'accesso al fondo europeo da 37 miliardi è diventata una battaglia politica dentro e fuori il governo. Ma le questioni aperte sono tante

L’attivazione del Mes sanitario è diventato la nuova linea del Piave della politica italiana, una frontiera che attraversa gli schieramenti politici e spacca gli stessi partiti. Se ne parla con sempre più insistenza e si ipotizzano addirittura maggioranze alternative pur di accedere a questi 37 miliardi a interessi praticamente zero da investire nella sanità, con l’unico caveat di utilizzarli per far fronte alle spese riguardanti l’emergenza Coronavirus.

Il dibattito è altrettanto severo anche tra i commentatori. Chi vuole attivare il Mes tira in ballo il risparmio sugli oneri del debito senza Mes, macigno sulle future generazioni. I contrari sottolineano che il trattato non è stato modificato, che in Grecia è stato un massacro, che il risparmio degli italiani è a rischio e così via. Ma non è il modo più saggio di affrontare la questione.

Come nasce il Mes

Il Mes nasce come fondo di salvataggio per i Paesi che si trovano tagliati fuori dal mercato obbligazionario. In cambio, il fondo richiede un rigoroso controllo sui beneficiari, da molti giudicato umiliante e invadente, per assicurarsi che le condizioni politiche, necessarie ad ottenere i prestiti vengano rispettate. Ciò ha reso il Mes politicamente tossico nei Paesi dell’Europa meridionale.

Il nuovo Mes per far fronte alla crisi pandemica, al contrario, equivale a un prestito incondizionato. Per fare domanda, un Paese deve solo confermare che spenderà il denaro per i costi relativi al Covid-19. La conformità a questo requisito minimo sarà verificata nell’ambito dell’osservazione ordinaria della Commissione europea delle finanze pubbliche di tutti i governi dell’UE, quindi niente Troika.

Il trattato però non è stato modificato, l’assenza di condizioni è il risultato di un accordo politico fra gli Stati membri. I controlli sono previsti sull’attuazione del programma presentato all’atto della richiesta del finanziamento, e questo non è un dettaglio, come vedremo più avanti.

I rischi del sì

Almeno per ora, il Mes sanitario non ha trovato adesioni importanti fra i Paesi dell’Eurozona mediterranea: non interessa alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia e tantomeno alla Francia. Soltanto Cipro ne ha fatto richiesta. Secondo i favorevoli a ricorrere al Mes, ciò si deve al fatto che queste economie, a differenza dell’Italia, pagano già tassi d’interesse molto bassi per finanziarsi sul mercato, rendendo il risparmio molto più ridotto.

Tuttavia, attivare il Mes per risparmiare sugli interessi del debito significa comunicare ai mercati e all’Europa la convinzione italiana che da qui ai prossimi anni i nostri interessi sul debito resteranno alti. Si potrebbe obiettare che così i soldi arrivano subito. Ma l’Italia in questo momento non è in una condizione di emergenza sanitaria. Chiedere il Mes durante il mese di luglio non sarebbe non un bel segnale.

Infine, non va sottovaluto il peso strettamente politico della questione: se la Francia e la Spagna mostrano di non avere bisogno di chiedere il Mes, anche l’Italia farebbe meglio a pensarci due volte prima di mostrarsi debole soprattutto in vista di un vertice europeo importante come quello di metà luglio.

Il problema principale però è un altro, riguarda il Mes, il Recovery Fund e tutti gli strumenti che sono stati (e saranno) messi in campo dall’UE: che cosa vuole fare l’Italia con questi soldi?

L’enigma degli investimenti

Mentre si parla di Mes sì/Mes no, facendo i conti su quanto “incassare” dall’Europa, non si discute di che cosa andrebbe fatto con questi 37 miliardi, ed è questa la cosa che lascia più perplessi. Non serviva il Coronavirus per ricordarcelo, ma la differenza qualitativa e organizzativa delle sanità regionali è molto accentuata, con la presenza di forti diseguaglianze che si ripercuotono in maniera sostanziale sulla qualità della vita. Su che cosa si investirebbe, su un sistema più centralizzato o la solita discrezionalità regionale, fonte di eccellenze ma anche dell’opposto?

Al di là delle valutazioni specifiche di convenienza che porteranno poi l’Italia a decidere se utilizzare o meno il Mes, la discussione di queste settimane è importante, perché ci sta dicendo che indipendentemente dalle fonti di finanziamento che il Paese deciderà di utilizzare, quel Paese dovrà fare investimenti sanitari identificando obiettivi chiari, con programmi ben costruiti e tempi di attuazione certi.

Se alla fine il Mes sarà attivato (come probabilmente accadrà), le condizioni saranno determinate dai programmi presentati dal governo. Considerando le differenze tra regioni e gli alti e bassi della politica sanitaria regionale (e in questi mesi abbiamo visto che anche i migliori possono fare disastri) per l’Italia farsi carico di un impegno del genere senza avere le idee chiare e la sicurezza che non ci saranno sprechi o scandali potrebbe essere problematico. Perché con i fondi del Mes non si scherza. Di quei soldi ci verrà chiesto conto.

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