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Alessandro Amitrano, il Cinquestelle che vuole portare l’innovazione in Parlamento: «Facciamo come in Nord Europa»

04 Luglio 2020 - 20:46 Marco Assab
Napoletano, trentenne, Amitrano è cofirmatario di una proposta per istituire la XV Commissione (permanente) "Infrastrutture e innovazioni digitali"

«Dobbiamo puntare su un Paese innovativo, abbiamo anche le menti che possono permettercelo. Quando vengono fuori varie scoperte, in giro per il mondo, poi vieni a sapere che dietro c’è un italiano che lavora ad esempio negli Stati Uniti, o in Francia, c’è sempre un italiano da qualche parte». Il Cinquestelle Alessandro Amitrano, deputato e segretario di Presidenza della Camera, non ha dubbi: serve una Commissione parlamentare permanente su innovazione e tecnologia. Mentre spiega le sue idee mostra il testo della proposta di modifica regolamentare di cui è cofirmatario. Alle quattordici commissioni permanenti se ne aggiungerebbe un’altra, la XV Commissione “Infrastrutture e innovazioni digitali”.

Il personaggio

Amitrano, vista la giovane età, parla di tecnologia e innovazione come cose normali, temi che non possono essere elusi nel 2020. Eppure, nel nostro Paese, sono tutt’altro che scontati, e il ritardo accumulato negli anni è emerso, in tutta la sua evidenza, durante la recente crisi sanitaria dovuta al Coronavirus. Trentenne, napoletano, laureando in medicina e giornalista pubblicista, Amitrano è stato eletto alla Camera dei deputati nel 2018. A soli 28 anni è diventato il più giovane segretario di Presidenza.

Impeccabile nel vestire (usa la cravatta) si tiene lontano dalle faide interne al Movimento. Non gli interessano, racconta, preferendo di gran lunga concentrarsi sui temi, su quegli atti legislativi che possono davvero cambiare le cose. Un Cinquestelle “anomalo”, verrebbe da pensare, ma in realtà la sua militanza nel Movimento è antica e risale al 2010.

Gli inizi e l’aneddoto su Fico

L’incontro con il M5s è avvenuto nel 2009, dopo varie esperienze nelle vesti di rappresentante studentesco. «Lo scenario dell’epoca era molto diverso da quello attuale. Si iniziava a parlare di questo Movimento 5 Stelle che preparava le liste per le Regionali in Campania. Con la mia associazione decisi di lanciare un appello per fare un confronto tra i candidati presidenti, per valutare idee e temi: l’unico a presentarsi fu il candidato del M5s, Roberto Fico, un ragazzo poco più grande di noi».

Amitrano sorride, ci pensa un attimo, poi aggiunge: «La prima volta che Roberto venne a trovarci eravamo nell’ufficio di mia madre. Ci radunammo lì con l’associazione, eravamo una ventina, e lui iniziò a parlare dei progetti per la Campania. Il primo pensiero mio, e di tutti i ragazzi dell’associazione, fu: “Questo è un folle”. Un folle in senso buono ovviamente, un visionario, aveva idee talmente lontane da quello che era lo scenario politico dell’epoca. Quando nel 2010 tutti dicevano di dover fare gli inceneritori, lui diceva di no. Questo ragazzo era completamente fuori da uno schema ordinario. E lì iniziai a pensare che forse qualcosa di positivo in questa esperienza c’era. Osservai la campagna elettorale da lontano, titubante, poi mi appassionai ed entrai a far parte del Movimento nel 2010».

L’innovazione in Parlamento

«L’idea di una Commissione permanente sull’innovazione, e non straordinaria, nasce dal fatto che il tema dell’innovazione, della tecnologia, non può avere una fine. L’innovazione c’è sempre, in ogni cosa, noi la viviamo ogni giorno, anche qui», afferma indicando un bicchiere riciclabile sul tavolo del suo ufficio; «prima avevamo i bicchieri di plastica, oggi in carta riciclabile, anche questa è una forma di innovazione. Non possiamo limitare il tema a un periodo di 2 anni e mezzo, con una Commissione straordinaria. E poi? Tra 2 anni e mezzo l’innovazione finisce?

Bisogna cambiare l’organizzazione del Parlamento. Mi spiego: se la Commissione lavoro, che tratta delle nuove forme di occupazione, di tutto quello che riguarda l’impatto sulla realtà della tecnologia non riesce ad affrontare in maniera organica le questioni dell’innovazione, perché presa da tutta una serie di altri problemi, allora si devono staccare alcuni temi suddivisi fra le commissioni permanenti e concentrarli in un’unica nuova Commissione. Una Commissione che immagini cosa succederà tra 10 anni».

Tecnologia e democrazia rappresentativa

Ma come l’innovazione tecnologica può trovar posto nei processi della democrazia rappresentativa, tema questo più volte discusso dentro e fuori il Movimento 5 stelle? «Durante il periodo dell’emergenza Covid – risponde Amitrano – si è parlato molto di immaginare il voto da remoto dei parlamentari. È una forma importante di innovazione nel nostro Paese. Ci sono ovviamente delle difficoltà tecniche, bisogna immaginare che 630 deputati lavorino, intervengano e votino da remoto, con la certificazione che siano davvero loro a votare, e non qualcun altro, con un software che dovrebbe riconoscere il momento del voto segreto, dovrebbe permettere di staccare le linee e i microfoni a chi interviene. Non è impossibile. Ma è qualcosa che va progettato oggi, testato nel tempo e poi magari messo in campo.

La stesa cosa si può fare con il voto elettronico quando ci sono le tornate elettorali. Molti altri Paesi si sono mossi in questo senso, penso ad esempio all’Estonia, dove hanno fatto un progetto che è durato nel tempo, per abituare anche la popolazione alla nuova tecnologia. Loro sono partiti dalle scuole. Oggi hanno un livello di voto da remoto globalizzato per tutto il Paese. Certo è un Paese piccolo, ma oggi un estone può anche votare dal Sudafrica per le sue elezioni politiche».

Ma come funziona negli altri Paesi?

Tornando a come far sì che il Parlamento si occupi in maniera efficace di innovazione Amitrano spiega che «valutando questa proposta, insieme al collega Niccolò Invidia, abbiamo richiesto uno studio su quel che avviene negli altri Paesi europei. In molti ci sono commissioni, diversamente nominate, sull’innovazione, sul futuro. Soprattutto in Svezia, Norvegia, Regno Unito. Insomma ci sono altri esempi. Questi ci hanno fatto capire la necessità che anche il nostro Parlamento prenda questa strada». «Oltretutto – prosegue – l’altro grande problema è che nel Parlamento le competenze sono distribuite male tra le varie commissioni. Non è un caso che, spesso, si debbano fare commissioni riunite per affrontare un tema, perché molte competenze sono accavallate».

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