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Recensione sgradita, ufficio stampa attacca la blogger dei libri: «Sindrome da troppe ragnatele nella f**a»

05 Luglio 2020 - 06:56 David Puente
Un ufficio stampa manda un libro da recensire a una blogger, ma lei paga la sua onestà ricevendo un attacco sessista

Un giorno Daisy riceve da un ufficio stampa un libro da recensire, un gesto di riconoscenza dell’operato di una blogger «con la passione della lettura», come si descrive nel suo sito. C’è un problema, perché l’ufficio stampa non gradisce affatto la recensione e decide, dopo una lunga serie di commenti e critiche, di attaccare duramente la blogger diffamandola pubblicamente con una dose ingiustificabile di sessismo.

I tweet del 4 luglio dell’ufficio stampa Il Taccuino rivolti a Daisy, senza citarla.

«Ridicola, fascista e permalosa. Tipica sindrome da troppe ragnatele nella fica accumulate», questo è il contenuto del tweet pubblicato dall’account ufficiale dell’ufficio stampa Il Taccuino «specializzato nella promozione professionale per editori, scrittori ed eventi letterari». La recensione non è piaciuta affatto, ed è evidente visto il tono usato, ma non è stato l’unico commento denigratorio nei confronti di Daisy perché dal tweet si arriva al post Instagram del 4 luglio dove l’ufficio stampa rincara la dose.

«Blog minuscoli che credono di essere la Rai», è questo il messaggio pubblicato su Instagram dall’ufficio stampa per screditare ulteriormente la blogger. Allora perché si sono rivolti a lei se non è così interessante? Perché tanta attenzione per una recensione negativa scritta da una persona che ritengono di poco conto? Perché avrebbe «distrutto l’autrice» e avrebbe «disinibito» (l’ufficio stampa usa la parola «disinibisce») la voglia di leggere il libro a priori, ecco perché! A dirlo non è altro che lo stesso ufficio stampa su Instagram nel post dei Daisy.

Non esiste giustificazione alcuna per le parole rivolte dall’ufficio stampa de Il Taccuino a Daisy, sessiste e irrispettose, ma cosa avrà mai scritto di così grave per ottenere tale spropositata reazione? Niente! Lo stesso gestore dell’account Instagram dell’ufficio stampa conferma che è stata rispettosa, ma evidentemente non poteva permettersi di fare un commento negativo al libro rispetto a chi ne ha parlato bene come Il Foglio, Leggeretutti e «altri 45 siti». Chissà che scenate avrebbe fatto l’ufficio stampa se Il Foglio o uno di questi «altri siti» avesse pubblicato la recensione di Daisy!

In un lungo botta e risposta, alla fine Il Taccuino ha concluso definendola «lo 0,00001 dei nostri contatti» e salutandola insieme ad altre sue colleghe «Addio blog inutili, addiooooooooo».

Daisy non gestirà un canale televisivo o un quotidiano, ma un dignitoso blog su WordPress.com e un account Instagram di tutto rispetto (@lettriceperpassioneblog) con 8 mila followers (contro i 4 mila de Il Taccuino). L’ufficio stampa ha sottovalutato i social, il caso ha scatenato la reazione di utenti e colleghe (come @luna_lovebook, @piccolimomentidiecstacy e @attorcigliata, ) che hanno ritenuto irrispettoso – anche con parole dure – tale comportamento.

Di fronte ai commenti e alle storie negative, Il Taccuino pubblica su Instagram un altro post dove «ringrazia sentitamente tutti i giornalisti seri, scrittori ed amici che stanno mandando numerosi messaggi di amicizia da ogni zona d’Italia» e dove viene fatta la richiesta di far «parlare i fatti non in un momento di rabbia (probabilmente sbagliato) in risposta ad un post fascista di una blogger hobbista di poco conto che non è nemmeno una giornalista professionista». Una reazione spropositata, e diffamatoria, nei confronti di chi ritengono essere una di poco conto.

Un post su Instagram dove l’ufficio stampa ringrazia i giornalisti che non raccontano la vicenda.

Probabilmente Daisy non riceverà altri libri dal Il Taccuino, e pare che non sarà l’unica. Chi ha fatto una pessima figura in tutta questa assurda vicenda è stato certamente l’ufficio stampa, mentre la blogger verrà ricordata per la sua onestà nel non essersi prestata a logiche del tipo «ti regaliamo un libro ma tu devi parlarne bene, altrimenti non collaboriamo più».

La recensione di Daisy, nel primo commento la discussione con l’ufficio stampa.

Per i curiosi, ecco la recensione che avrebbe distrutto l’autrice del libro «Vite strappate in Italia dagli anni ’70 ad oggi» secondo quanto dichiarato dall’ufficio stampa:

Vi è mai capitato di non riuscito a finire un libro?

Purtroppo a me è successo con Vite strappate in Italia dagli anni Settanta ad oggi di Antonella Betti edito Editrice Italia Semplice.

È un libro a metà strada tra saggio ed inchiesta in cui viene affrontato il problema dei bambini tolti alle famiglie senza reale motivo oppure con motivazioni apparenti, per il guadagno ora di professionisti corrotti, ora di tutte quelle strutture e comunità che accolgono il minore “abbandonato”.

Il libro infatti segue due percorsi: da una parte troviamo la parte teorica dove vengono esposti concetti riguardanti il mondo degli affidi e delle adozioni; dall’altra parte, l’autrice porta diverse storie a sostegno della sua tesi.

Io sono una persona che cerca sempre di portare a termine una lettura (soprattutto se per collaborazione) fino alla fine, perché lo trovo rispettoso nei confronti di chi dietro quel determinato libro ci ha lavorato. Con questo però non sono riuscita.

Mi sembra doveroso fare una premessa: io sono laureata e specializzata come assistente sociale. Direte voi: allora sei di parte? No, non credo di esserlo perché ho deciso di specializzarmi in altro. È vero, però, che è un terreno a me conosciuto.

Tornando al libro, quindi, la cosa che non ho molto apprezzato è il modo di trattare l’argomento. È come se si volesse gridare ad un sistema corrotto, ma portando a favore tesi un po’ tirate. All’interno del libro, infatti, ci sono anche storie di importanti disfunzioni familiari. Genitori che, veramente, non riescono a far fronte alle esigenze del minore. È stato dunque necessario procedere con l’allontanamento del minore dal nucleo familiare. Io quindi non vedo l’ingiustizia fatta dalle figure e strutture preposte.

Non ho poi molto condiviso la scelta stilistica. L’autrice ha voluto usare un linguaggio professionale, tipico delle relazioni sociali che, secondo me, ai fini della lettura per un vasto pubblico diventa poco scorrevole.

È, comunque, un romanzo che tratta tematiche delicate ed importanti degne di essere approfondite.

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