Condannati a 5 anni e 6 mesi i due militanti neofascisti che aggredirono i giornalisti de L’Espresso

Il 7 gennaio del 2019 un gruppo di militanti di estrema destra aveva aggredito il giornalista Federico Marconi e il fotografo Paolo Marchetti. Ora le condanne per reati di lesioni e rapina aggravata

Ci sono due condanne per l’aggressione avvenuta il 7 gennaio 2019 ai danni del giornalista Federico Marconi e del fotografo Paolo Marchetti de L’Epresso, mentre documentavano al cimitero del Verano, a Roma, una commemorazione da parte di militanti di estrema destra per i morti di Acca Larenzia. I giudici hanno inflitto 5 anni e 6 mesi di carcere per Giuliano Castellino, leader di Forza Nuova, e per Vincenzo Nardulli di Avanguardia Nazionale. Nei confronti dei due il pm Eugenio Albamonte contesta i reati di lesioni e rapina aggravata. Lasciando l’aula, Castellino ha urlato: «siete una manica di buffoni». Il Tribunale, riferisce L’Espresso, ha anche riconosciuto il risarcimento del danno per le parti civili che, oltre ai giornalisti aggrediti, sono anche il gruppo editoriale Gedi, la Federazione nazionale della stampa, l’onlus Ossigeno per l’informazione.


Marconi: «Sentenza dà un po’ più sicurezza a tutti i cronisti»

Raggiunto da Open uno dei due giornalisti aggrediti, Federico Marconi, commenta così la sentenza: «È una condanna che ci rende molto felici. La decisione dei giudici è stata molto dura. Hanno riconosciuto che noi giornalisti eravamo lì per documentare una riunione di due movimenti neofascisti e ci hanno impedito di fare il nostro lavoro». «Una condanna – prosegue Marconi – che dà anche un po’ più di sicurezza, non solo a noi, ma anche a tutti i cronisti che sempre più spesso si trovano in condizioni del genere».


I fatti denunciati da L’Espresso

All’epoca dei fatti, il settimanale aveva denunciato immediatamente quanto accaduto, spiegando che intorno all’ora di pranzo Marchetti era stato avvicinato da alcuni esponenti dell’estrema destra presenti al raduno. Tra spintoni e minacce si erano fatti consegnare la memory card della macchina fotografica. Dopo averla ottenuta, in pieno stile Ovra (la polizia segreta dell’Italia fascista), avevano chiesto perfino i documenti, pur non avendo alcun titolo per farlo. Un altro gruppo invece aveva accerchiato e aggredito il giornalista Federico Marconi.

«Per usare le parole contenute nel rinvio a giudizio, c’era la volontà di impedire che una manifestazione pubblica e in luogo pubblico non fosse documentata dall’informazione», ha commentato dopo la sentenza il direttore de L’Espresso Marco Damilano. «In una stagione di minacce e di attacchi ripetuti contro la stampa, anche un gruppo di neo-fascisti dichiarati si è sentito coperto in questa azione da una pretesa di impunità e forse perfino da qualche copertura da parte delle forze politiche che in quel momento erano alla guida del ministero dell’Interno», ha detto Damilano.

«Oggi questa pretesa di impunità è stata smentita – ha proseguito – e gli aggressori sono stati condannati. È una vittoria dei colleghi colpiti, dell’Espresso e del nostro gruppo editoriale Gedi che si è subito costituito parte civile. Ringrazio la Fnsi, che ci è sempre stata vicina, e Ossigeno per l’informazione che monitora e difende i giornalisti a rischio di intimidazione. Il riconoscimento che chi tocca anche un solo giornalista colpisce tutti i giornalisti e attacca la libertà di stampa che è uno dei pilastri della democrazia, quindi colpisce tutti i cittadini. Per questo, è la vittoria di chi crede nel nostro mestiere e nella libertà di informare. Una vittoria di tutti».

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