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TikTok lascia Hong Kong dopo la legge sulla sicurezza. Scatta la censura sui libri a scuola. La governatrice: «Conseguenze gravi per chi viola le regole»

07 Luglio 2020 - 08:49 Redazione
«Avverto quei radicali di non tentare di violarla perché le conseguenze saranno molto gravi», ha detto la governatrice. Intanto, l'app del social network cinese ha sospeso le condivisioni a Hong Kong

La famosa app di condivisione TikTok, con sede in Cina, ha dichiarato ieri sera, 6 luglio,di star interrompendo il servizio a Hong Kong a causa dei «recenti eventi». La mossa di TikTok, di proprietà della ByteDance, arriva quando Facebook, Google e Twitter (con sede negli Usa) hanno bloccato le richieste del governo e della polizia di Hong Kong mosse per avere informazioni sugli utenti. Parallelamente, gli Stati Uniti stanno valutando di bandire le applicazioni dei social media cinesi – tra cui TikTok – come anticipato da Pompeo. L’app in questione è stato più volte accusato dai funzionari americani di essere una minaccia alla sicurezza nazionale, in linea con la politica anti-Pechino di Donald Trump.

La stretta dopo la legge sulla sicurezza

Sono passati 7 giorni dall’approvazione delle nuova legge sulla sicurezza nazionale varata a Hong Kong su imposizione di Pechino, e che prevede pene fino all’ergastolo per chi sarà accusato di sovversione, secessione, terrorismo e di collusione con le forze straniere. La governatrice di Carrie Lam ha difeso il provvedimento, dicendosi «certa» che sarà «d’aiuto a ripristinare fiducia e stabilità».

Nella conferenza stampa del martedì prima di riunire il suo gabinetto, Lam ha assicurato che la legge sarà «applicata con vigore. Avverto quei radicali (gli attivisti pro-democrazia, ndr) di non tentare di violarla o di attraversare la linea rossa perché le conseguenze previste sono molto gravi». «Diritti e autonomia – ha aggiunto – sono tutelati».

Spariscono i libri

Il governo di Hong Kong ha ordinato alle scuole di rimuovere i libri che potrebbero violare la legge sulla sicurezza imposta dalla Cina. Tra i primi a reagire è stato il capo della diplomazia americana Mike Pompeo, che ha denunciato ieri sera l’atto di «censura» cinese, definendolo «orwelliano». «Mentre l’inchiostro è ancora fresco sulla repressiva legge sulla sicurezza nazionale – ha detto Pompeo, che rappresenta il Paese attualmente più in conflitto aperto con la Cina – le autorità locali, in un atto orwelliano, hanno iniziato a rimuovere i libri critici al Partito comunista cinese (Pcc) dagli scaffali delle biblioteche, a vietare gli slogan politici e a chiedere alle scuole di imporre la censura».

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