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La decisione di Tim ha chiuso le porte a Huawei per il 5G in Italia? No, anzi

11 Luglio 2020 - 19:25 Valerio Berra
La gara da cui l'operatore telefonico italiano ha escluso Huawei è solo una di tutte quelle che serviranno per costruire la Rete 5G in Italia

La sera di giovedì 9 luglio le agenzie di stampa Agi e Reuters hanno battuto la stessa notizia. Secondo alcune indiscrezioni, Tim avrebbe escluso Huawei dalla gara per la costruzione della rete 5G in Italia e in Brasile. Ammesse solo cinque aziende: Ericsson, Nokia, Cisco, Mavenir e Affirmed Networks. Una notizia arrivata dopo che il 5 luglio il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson aveva manifestato parecchi dubbi sulla collaborazione con Huawei per realizzare il 5G: «Non voglio una situazione in cui l’infrastruttura nazionale potrebbe essere controllata da un’agenzia di stato potenzialmente ostile».

Non solo. Lo scorso maggio Donald Trump ha prolungato di un anno la messa al bando di Huawei e Zte, un provvedimento che restringe per le aziende cinesi la possibilità di collaborare con quelle degli Stati Uniti. Dopo il fermo per lo scoppio della pandemia di Coronavirus sembra che la guerra fredda della tecnologia fra Stati uniti e Cina sia ricominciata. Ma lo stop di Tim a Huawei è dovuto a questo? E soprattutto, vuol dire che l’azienda cinese non lavorerà più al 5G italiano?

Le frequenze per il 5G non sono solo di Tim

Nell’ottobre del 2018 la vendita delle frequenze per il 5G in Italia ha fatto entrare nelle casse dello Stato 6,5 miliardi. Una cifra che entro i prossimi 4 anni verrà versata dagli operatori telefonici nelle casse dello Stato. Tim ha speso per le sue frequenze 2,407 miliardi di euro. Quasi la stessa cifra è stata spesa però anche da Vodafone (2,401 miliardi di euro). Se Tim bloccasse del tutto Huawei quindi, l’azienda cinese potrebbe partecipare ad altri bandi in Italia.

La gara a cui non parteciperà Huawei

Oltre a questo, la gara da cui Tim ha escluso il colosso di Shenzhen non riguarda tutta l’infrastruttura 5G ma solo una parte. A spiegarlo è Antonio Capone, professore della facoltà di Ingegneria delle Telecomunicazioni del Politecnico di Milano: «La gara a cui la notizia fa riferimento è solo quella per core network, una delle due parti più importanti di un’infrastruttura di rete. L’altra è quella del ponte radio. Qui l’esclusione di Huawei è più difficile, visto che l’azienda cinese ha investito molto in ricerca e nel panorama mondiale è il fornitore che può garantire la tecnologia più avanzata e più efficiente».

EPA/ALEX PLAVEVSKI | Ren Zhengfei, fondatore e Ceo di Huawei

Secondo un’analisi di Iplytics nel giugno del 2019, l’azienda cinese guidava la classifica mondiale per il maggior numero di brevetti registrati sulla tecnologia 5G: 1.529 contro i 1.397 di Nokia e i 1.296 di Samsung. Lo scorso settembre, per cercare di arginare il blocco imposto dagli Stati Uniti, il Ceo (e fondatore) Ren Zhengfei aveva dichiarato in un’intervista al The Economist che Hauwei era pronta a vendere a un’azienda occidentale tutti i suoi brevetti per il 5G. L’annuncio però non è mai diventato effettivo.

Tim quindi potrebbe aver escluso Huawei ora, sapendo che potrebbe vincere il prossimo bando per il ponte radio, così da poter lavorare con fornitori diversi e garantirsi una sicurezza maggiore nell’avanzamento dei lavori per la costruzione della rete.

I rischi per la sicurezza

Il tema è sempre questo. Permettere a Huawei di costruire l’infrastruttura 5G può diventare un rischio per la sicurezza per il Paese? Secondo Capone è difficile riuscire a costruire delle falle in una rete di comunicazione senza che queste vengano notate: «Esistono tutta una serie di misure che gli operatori possono prendere per verificare se siano state inserite delle backdoor nelle reti di comunicazioni. Il Regno Unito al momento è il Paese in cui gli accordi con Huawei per il 5G sono in fase più avanzata. Qui sono nati anche laboratori ad hoc che si occupano proprio di queste analisi».

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