Stipendi diversi tra Nord e Sud? Un dibattito inutile, pensiamo ai precari – L’intervento

Un mercato del lavoro afflitto da un eccesso di precariato non ha bisogno di una discussione inutile come quella sollevata dal sindaco di Milano e dal ministro per il Sud sulle “gabbie salariali”

Ci sono alcuni tormentoni che si ripropongono ciclicamente per anni, per la loro grande capacita di accendere gli animi, suscitare prese di posizioni forti e discussioni feroci. Uno dei tormentoni di maggior successo è quello della differenza di salario tra Nord e Sud, tema che a volte prende nomi sinistri (“gabbie salariali”) mentre altre volte assume una forte connotazione politica.


Il Sindaco di Milano Beppe Sala e il Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano si sono fatti carico di rilanciare questo tormentone, riaccendendo l’antica domanda: è giusto che al Sud siano pagati salari inferiori, considerato che il costo della vita è inferiore? La questione non troverà mai una vera risposta, perché si basa su una serie di errori concettuali insuperabili che rendono impossibile trovare una soluzione.


Le negoziazioni sindacali

Il primo errore è quello di pensare che possa essere presa una decisione generale sul valore dei salari (anche se nel caso di Sala si parlava di retribuzioni pubbliche, per le quali è possibile un maggior controllo). Le retribuzioni vengono fuori da centinaia di negoziazioni svolte dai sindacati e dalle associazioni delle imprese nei diversi comparti merceologici: ogni negoziato ha una sua storia e una sua strada.

Non è da escludere che in un certo settore si faccia un ragionamento su compensazioni salariali diverse per territorio, ma nessuno potrebbe decidere, per legge, che deve esserci un “taglio” per le retribuzioni pagate nel Meridione. Un’ipotetica legge di questo tipo finirebbe subito in Corte Costituzionale per violazione della libertà negoziale delle parti sociali.

La contrattazione aziendale/territoriale e gli accordi individuali

Il secondo errore è non vedere che questa presunta “parità di salario” già oggi non esiste. Anche se un contratto collettivo fissa un certo minimo retributivo, nelle grandi metropoli urbane i salari sono mediamente più alti di quelli pagati nei centri più piccoli e meno sviluppati economicamente, per il risultato di tanti fattori: gli accordi individuali (i cosiddetti superminimi), la contrattazione di secondo livello (gli accordi con le rappresentanze sindacali aziendali o territoriali), il diverso peso della fiscalità locale (elemento, questo, che incide in maniera marginale).

La qualificazione del rapporto di lavoro

Il terzo errore è quello di ragionare secondo schemi novecenteschi, pensando a un mercato del lavoro dominato dal lavoro subordinato e, quindi, dal tema del salario, dimenticando che oggi la grande discriminazione non è certo quella tra lavoratori subordinati del Nord e del Sud, ma quella – ben più profonda e incisiva – tra insider e outsider.

Il lavoro subordinato è messo in crisi dalla rivoluzione digitale e dalla spinta verso la riduzione dei costi, e sta diventando sempre più una cittadella inespugnabile per i giovani che si affacciano ora al mercato del lavoro e per milioni di persone che, pur lavorando da tanti anni alle dipendenze di qualcuno, un contratto di lavoro non lo hanno mai visto.

Le false partite iva, le collaborazioni coordinate e continuative irregolari, i finti lavori occasionali, gli appalti con “accordi pirata”, coinvolgono milioni di persone, negando loro le forme minime di tutela economica, giuridica, sindacale e contributiva che dovrebbe essere garantita a chiunque lavora.

Pensare che la differenza di salario tra chi ha un contratto di lavoro super tutelato al Nord e chi ha analogo contratto al Sud possa essere una priorità, in un mercato del lavoro afflitto da problemi tanto più importanti e rilevanti, aiuta a guadagnare titoli sui giornali ma genera un dibattito scollegato dalla realtà.

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