In Evidenza ENISiriaUSA
ECONOMIA & LAVOROCassa integrazioneCoronavirusLavoro e impresaLavoro neroPrecariatoSmart workingWork in progress

Precari e irregolari: i soggetti deboli del mercato del lavoro sono i più colpiti da Covid-19

Il mercato del lavoro protegge solo chi ha contratti regolari. Servono tutele omogenee ed è necessario sostenere la “buona flessibilità”

In queste settimane di emergenza sanitaria non sono mancate le polemiche in merito al corretto funzionamento della cassa integrazione, potenziata dal Decreto Cura Italia per sostenere l’occupazione e limitare gli effetti negativi delle misure di contenimento decise dal Governo.

Nonostante queste polemiche, non si può negare che l’intervento in favore dei lavoratori dipendenti è stato molto ampio, finendo per coprire la quasi totalità dei lavoratori subordinati che hanno un contratto regolare, ed efficace (milioni di lavoratori possono mantenere, anche senza lavorare, un livello dignitoso di reddito).

Il confine dei soggetti tutelati

Questa ampia copertura, tuttavia, si è fermata ai confini del recinto del mercato del lavoro “regolare”: sono stati tutelati tutti i lavoratori con contratto subordinato, anche a termine, ma sono rimasti fuori (salvo piccole e insufficienti compensazioni economiche) tutti quei lavoratori che, senza dubbio, si possono definire “precari”, perché hanno contratti irregolari o privi di un nucleo minimo di tutele (pochi contributi, nessun diritto sindacale, zero tutele contrattuali).

Le false collaborazioni coordinate e continuative, le partite iva che simulano un rapporto subordinato, i lavori stagionali, gli appalti irregolari, i contratti collegati ad accordi collettivi “pirata”: tutte situazioni che già in condizioni normali assicuravano tutele inferiori rispetto a quelle riservate ai dipendenti “ordinari” sono rimaste ancora più a margini, subendo gli effetti negativi della crisi senza tuttavia poter beneficiare delle tutele dei lavoratori “ordinari”.

E non si tratta solo di tutele economiche in senso stretto. Si pensi al caso dello smart working: i lavoratori coperti da un contratto regolare hanno potuto spostare, con mille difficoltà e costrizioni, la propria sede di lavoro nell’abitazione personale (dando vita a una curiosa forma di lavoro casalingo, buona solo per l’emergenza).

I lavoratori precari hanno potuto sperimentare una forma molto brutale di lavoro casalingo: sono stati lasciati a casa, senza che ci fosse una minima rete di protezione, contrattuale o pubblica, in grado di attenuare il colpo, oppure hanno dovuto subire la rinegoziazione forzata dei propri compensi, senza poter in alcun modo difendersi di fronte al diverso potere contrattuale dei committenti.

Senza dimenticare che molti di questi lavoratori sono stati lasciati a casa senza che valesse, per loro, il divieto di licenziare, tutela aggiuntiva introdotta dal Decreto Cura Italia per coprire – anche qui – solo i lavoratori già tutelati.

La necessaria flessibilità nel mercato del lavoro

Insomma, abbiamo un mercato del lavoro che assicura tutele forti ai lavoratori già tutelati, mentre dimentica completamente chi è, già in condizioni normali, sprovvisto di reali garanzie, economiche e contrattuali. Questa situazione non nasce per caso, ma viene fuori da decenni di politiche del lavoro demagogiche, che – in maniera bipartisan – hanno sempre cercato di negare l’esistenza della flessibilità, rifiutando di regolarla e anzi cancellandola per decreto.

Si pensi all’incredibile abrogazione dei voucher, che ha privato migliaia di lavoratori di uno strumento che, nella sua grande flessibilità, dava tutele decorose, spingendoli nel buco nero del lavoro invisibile. Oppure al caso della somministrazione di lavoro, combattuta strenuamente dal c.d. Decreto Dignità invece di essere utilizzata come forma di “buona flessibilità”, capace di garantire quelle tutele minime che altri contratti non sono in grado di assicurare.

A forza di negare la flessibilità per decreto, è stato costruito, un pezzo per volta, un sistema che non è in grado di riconoscere i bisogni delle persone più deboli e non valorizza le forme contrattuali flessibili che potrebbero dare tutele efficaci.

La “fase 2” delle politiche del lavoro dovrebbe ripartire da qui: ripensare regole e tutele del lavoro, cercando di redistribuire in modo omogeneo le tutele e le opportunità tra tutti i lavoratori. e valorizzare i contratti flessibili che garantiscono tutele adeguate, come antidoto al lavoro precario.

Leggi anche:

Articoli di ECONOMIA & LAVORO più letti