Camici in Lombardia, la consigliera renziana Baffi non voterà la sfiducia a Fontana. La difesa in aula del presidente: «Attacchi strumentali»

Questa mattina il governatore della Lombardia è intervenuto in Consiglio regionale sull’inchiesta della Procura di Milano circa la fornitura di camici alla Regione da parte di Dama Spa

Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana non arretra di fronte all’inchiesta camici nella quale risulta indagato. Questa mattina, di fronte al Consiglio regionale lombardo, ha tenuto un lungo discorso dove, punto per punto, ha ripercorso le tappe della vicenda, nel tentativo di chiarire la propria posizione. Immediate le reazioni della politica, con la consigliera di Italia Viva Patrizia Baffi che ha annunciato di «non sottoscrivere la mozione di sfiducia al presidente proposta dal Movimento 5 Stelle». La consigliera ritiene «che sia il frutto di una elencazione di fatti ancora sommari e la cui analisi non può essere completa ed esaustiva: una analisi seria e le conseguenti valutazioni politiche su un’emergenza che è tutt’ora in corso, potremo farla solo quando avremo tutti gli elementi utili». «Non condivido un modus operandi fatto di processi sommari», ha concluso.


Pd possibilista sulla sfiducia

Il capogruppo Pd in Regione Lombardia, Fabio Pizzul, ha descritto Fontana come un «presidente debole e a fine corsa». Riguardo la mozione di sfiducia dei 5Stelle Pizzul ha spiegato che «dobbiamo valutare: l’obiettivo è quello di far cadere e mandare a casa questa giunta». «Dobbiamo capire qual è lo strumento più efficace – ha spiegato il capogruppo dem -, il rischio di una mozione immediata è che si ricompatti la maggioranza, piuttosto che far cadere Fontana». Ma il M5s non potrà essere da solo in questa battaglia, perché per depositare la mozione servono 16 firme, mentre i pentastellati possono contare solo su 13 consiglieri.


L’intervento di Fontana in Consiglio regionale

«Ho riflettuto molto sull’opportunità di intervenire oggi in quest’aula per la preoccupazione di dare un’ulteriore cassa di risonanza a polemiche che ritengo sterili, inutili, strumentali oltre che lesive della mia persona e del ruolo istituzionale che ho l’onore di ricoprire», così il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha esordito nel suo intervento, in Consiglio regionale, volto a chiarire punto per punto alcune vicende che lo hanno riguardato in prima persona, dalla gestione del Covid-19 nella Regione più duramente colpita dalla pandemia in Italia all’inchiesta camici per la quale risulta indagato. «Alla fine ho deciso di essere qui – ha detto -, per riaffermare la verità dei fatti e per voltare pagina. Per affermare con forza la volontà di andare oltre, guardando alle sfide del futuro».

L’inchiesta camici

Fontana, dopo aver ripercorso le tappe dell’emergenza Coronavirus in Lombardia, ha poi affrontato il tema più scottante, quello che riguarda il “pasticcio” della fornitura dei camici sanitari da parte della società del cognato, Dama, alla centrale acquisti regionali della Lombardia: «Da pochi giorni ho appreso che la magistratura mi attribuisce un ruolo nella cosiddetta trasformazione della fornitura da onerosa a gratuita – ha esordito il governatore -. In realtà la vicenda è molto semplice e oso dire banale.

Sapevo che Dama si era dichiarata disponibile a rendersi utile, ad offrire un contributo per rispondere all’emergenza Covid. Lo aveva già fatto in precedenti occasioni, e anche la fornitura dei camici rientrava per me nell’ambito di tale disponibilità. L’assessore Cattaneo aveva interpellato Dama, e altri imprenditori sul territorio, anch’essi disposti a dare una mano. Alla fine sono state coinvolte queste aziende nella fornitura, tutte e 5 quelle che avevano dato la loro disponibilità, hanno visto acquistate le loro merci, i loro camici, con quantità e costi unitari differenti».

«Per tutte queste aziende, che ringrazio, è valsa la medesima procedura, attuata per tutti gli acquisti fatti dopo l’autorizzazione del governo di Regione Lombardia, ad utilizzare la procedura semplificata di emergenza. Dei rapporti negoziali AriaDama – ha specificato Fontana – non l’ho saputo fino al 12 maggio scorso, data in cui mi si riferiva che era stata concordata una rilevante fornitura di camici a titolo oneroso. Sono tutt’ora convinto che si sia trattato di un negozio del tutto corretto. Ma poiché il male, così come il bene, è negli occhi di chi guarda, ho chiesto a mio cognato di rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni».

Sul bonifico da 250 mila euro dalla Svizzera per il cognato Fontana ha spiegato: «Su questo sono stato facile profeta. Considerando quel mancato introito come un ulteriore gesto di generosità. La magistratura sta lavorando su questo punto ipotizzando, secondo le ricostruzioni della stampa, una diversa ricostruzione relativa a un mio coinvolgimento nei fatti. Avevo spontaneamente considerato di alleviare in qualche modo l’onere dell’operazione, partecipando personalmente, proprio perché si tratta di mio cognato, alla copertura di una parte dell’intervento economico. Si è trattato di una decisione spontanea e volontaria, dovuta al rammarico di constatare che il mio legame di affinità aveva solo arrecato svantaggio ad una azienda legata alla mia famiglia. Così quel gesto è diventato sospetto, se non addirittura losco».

«Non è vero che la rinuncia al pagamento, definita donazione, con spirito del tutto irridente e poco nobile, sia dipesa dalla presenza di Report – ha continuato Fontana -. Report in realtà si è palesata, con le prime domande, il 1° giugno, quando erano trascorsi già 18 giorni. In quel momento vi era una drammatica emergenza ed era in corso una ricerca spasmodica di presidi di protezione individuale. Ma ribadisco: nulla ho saputo dei rapporti negoziali a titolo oneroso, tra Dama e Aria, fino al 12 maggio. Questo ho inteso esprimere quando ho affermato di essere completamente estraneo e ignaro della fornitura onerosa in questione».

Donazione o fornitura? Manca la delibera

Una delle accuse contestate a Fontana riguarda il “pasticcio” della fornitura dei camici sanitari da parte della società del cognato, Dama, alla centrale acquisti regionali della Lombardia, Aria spa. 75mila camici per 513mila euro dei quali ne sarebbero stati consegnati 49mila. Una donazione, dice il governatore, ma il contratto stipulato inizialmente prevedeva un acquisto. Al momento, poi, rilevano i pm, non ci sarebbe nemmeno una delibera con la quale la Regione avrebbe accettato la trasformazione della fornitura in donazione. Ma soltanto una mail informale che non varrebbe, come fa notare il Corriere della Sera, come atto formale di modifica del rapporto commerciale tra i due attori.

250mila euro al cognato da un conto svizzero

Fontana – indagato per frode in pubbliche forniture – ha detto inizialmente di non saperne nulla, di essere totalmente estraneo alla vicenda. E allora come mai ha tentato di “risarcire” il cognato dopo l’inchiesta di Report, con ben 250mila euro? Il bonifico sarebbe dovuto partire da un conto svizzero: fondi che si trovano all’estero e che lui avrebbe accettato, anni fa, come eredità dalla madre. Dichiarati nel 2015, grazie allo scudo fiscale, spiega il suo avvocato, sono «tracciabili e ufficiali».

Insomma un’eredità «scudata e regolarizzata» già a suo tempo. Sono stati però avanzati dei dubbi anche su questa “eredità”: difficile, per alcuni, ipotizzare come sua madre, una donna così anziana, possa aver costituito due trust, amministrati dall’Unione fiduciaria italiana, alle Bahamas con oltre 5 milioni di euro. Fontana inoltre ha giustificato il bonifico come una donazione. Ma sono stati avanzati dei dubbi su questa versione, considerata la tempistica: il bonifico sarebbe dovuto partire esattamente il giorno prima la trasformazione della fornitura in donazione. Fornitura di cui, ricordiamo, il governatore in un primo momento ha dichiarato di non sapere nulla.

Foto in copertina di repertorio: ANSA / MATTEO BAZZI

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