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Così hacker cinesi avrebbero spiato il Vaticano. Usata come esca anche una finta lettera di condoglianze

Le accuse vengono da un rapporto di una società americana specializzata nello studio di attacchi informatici e sono state riportate dal New York Times. Sullo sfondo, la nomina dei vescovi in Cina

Perfino il Vaticano sarebbe finito nella rete di spionaggio della Cina, nei confronti della quale si moltiplicano le accuse. L’ultima viene a seguito di un articolo del New York Times che racconta come un gruppo di hacker legato al partito comunista cinese – RedDelta – si sarebbe infiltrato nelle reti informatiche della Santa Sede.

A fare da sfondo all’operazione di spionaggio c’è la nomina dei vescovi cattolici in Cina, tema caldo per Pechino che, sotto la guida del presidente Xi Jinping, sta portando avanti una stretta sul fronte dei diritti civili (si veda Hong Kong, dove la libertà di espressione è stata duramente limitata dall’introduzione recente di una legge di sicurezza nazionale) e sul fronte della libertà religiosa, come dimostra la repressione degli uiguri nello Xinjiang.

Hackerata la missione a Hong Kong: “l’esca” in una lettera

La denuncia riportata dal quotidiano statunitense arriva da una società di cyber-sicurezza, Recorded Future, che ha sede nel Massachusetts. Secondo l’azienda, specializzata nello studio di attacchi informatici, le interferenze cinesi sarebbero iniziate tre mesi fa. In un caso gli hacker avrebbero utilizzato una lettera di cordoglio all’apparenza autentica in quanto scritta su carta intestata, inviata dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, a monsignor Javier Corona Herrera, cappellano della Holy See Study Mission. Quest’ultima, con sede a Hong Kong, è tra le missioni più strategiche del Vaticano nel mondo, visto il collegamento con le diocesi della Cina.

In passato il gruppo di rappresentanti vaticani ha avuto un ruolo importante nella negoziazione dello status della Chiesa cattolica nel paese. Proprio Hong Kong è stata recentemente motivo di tensione tra il Vaticano e la Cina dopo la pubblicazione del discorso che Papa Francesco avrebbe dovuto fare ai fedeli il 5 luglio, che prevedeva un passaggio in cui esortava al rispetto dei diritti e della dignità di tutti. Come scrive il quotidiano newyorchese, il Papa non ha mai pronunciato quelle parole.

Le accuse di spionaggio alla Cina

Altro bersaglio degli hacker sarebbe stato il Pontificio istituto Missioni Estere (Pime). In entrambi i casi l’obiettivo era lo stesso: ottenere informazioni sulle posizioni negoziali del Vaticano in vista del rinnovo – previsto entro settembre – dell’accordo raggiunto nel 2018 sulla nomina dei vescovi. Commentando il rapporto, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha respinto le accuse, chiedendo che vengano fornite «prove sufficienti».

Ma si tratta dell’ennesimo episodio – dopo le accuse di propaganda pro-cinese durante l’emergenza pandemica sollevate anche dall’Ue e quelle di spionaggio negli Usa che hanno portato alla chiusura del consolato cinese a Houston – che avvalorano la tesi secondo la quale con Xi Jinping la Cina sta perseguendo una politica estera aggressiva anche nei confronti dell’Occidente.

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