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Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Maga: «È presto per parlare di un’inversione di tendenza. Ma il peggio sembra passato»

25 Agosto 2020 - 19:51 Felice Florio
Per il direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia è il momento di rafforzare la rete di sorveglianza per chi arriva dall'estero e «se ognuno fa la propria parte con le misure di prevenzione individuali», in una settimana i casi potrebbero tornare ai livelli di luglio

Secondo giorno di fila di contrazione nel numero dei contagi: rispetto ai +1210 casi registrati domenica 23 agosto, ieri le nuove infezioni erano +953 e oggi +878. «Potremmo aver raggiunto il massimo contributo dato dalle vacanze all’incremento delle infezioni», afferma il virologo Giovanni Maga. Bisognerà aspettare le due settimane canoniche, tuttavia, per conoscere il reale impatto degli assembramenti di Ferragosto sull’epidemia di Coronavirus in Italia.

Il nostro Paese sembra essere entrato più tardi e uscito prima dalla seconda ondata di contagi che ha attraversato l’Europa. Solo domenica scorsa, in Francia ad esempio, le infezioni registrate nelle 24 ore erano quasi +5.000. Nonostante ciò, il direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr sostiene che chiudere le frontiere «è una misura inefficace» e invita, piuttosto, al rispetto delle regole di prevenzione: «Solo se ciascun individuo seguirà le disposizioni impartitegli si riuscirà a evitare che il virus torni a mietere vittime tra i più anziani».

Maga, dopo due giorni di fila di diminuzione dei contagi, si può dire che il peggio è passato?

«Sono ottimista a riguardo, ma è troppo presto per dirlo con certezza. Dopo una settimana di aumento repentino dei casi, in cui siamo passati da poche centinaia di infezioni giornaliere fino a +1.200, il calo di questi due giorni sembra dirci che i contagi si sono stabilizzati. Anche perché i tamponi, oggi, sono stati parecchi: oltre 70mila».

Quale potrebbe essere la spiegazione di questo calo?

«È possibile che abbiamo raggiunto il massimo del contributo della mobilità vacanziera alle nuove infezioni. Ormai sono passati 10 giorni da Ferragosto e la maggior parte delle persone è rientrata dai viaggi. Se questa tendenza nell’incremento giornaliero dei casi si confermerà, è possibile che nel giro di una settimana i contagi potrebbero scendere ai livelli di luglio. C’è la reale ipotesi che i primi giorni di settembre avremo qualche centinaia di casi, meno diffusi sul territorio nazionali perché relativi a cluster ben definiti».

Qualcuno aveva parlato, in relazione all’ultima settimana, di crescita esponenziale. Altri esperti sono stati più cauti. Con questi due giorni di contrazione dei casi, si può già parlare di inversione di tendenza?

«Su due giorni non si può costruire una tendenza, ma ritengo improbabile che ci sarà un peggioramento. La scorsa primavera contavamo i casi analizzando prevalentemente le persone sintomatiche. Oggi, i contagi li andiamo a cercare attivamente tra le persone che non hanno sintomi. In queste ultime ore stiamo registrando i contagi che si sono verificati con il movimento vacanziero. Se i numeri si stabilizzassero, visto che la maggioranza delle persone è ormai rientrata dalle vacanze, è possibile che assisteremo presto a una discesa dei casi».

C’è una soglia di nuovi casi giornalieri che dovrebbe allarmarci?

«Più che soglia di nuovi casi, io parlerei di tendenza: se avessimo un raddoppio dei casi in pochi giorni, allora sì che dovremmo preoccuparci. Il segnale che deve allarmarci davvero, però, è quello relativo a un aumento improvviso dei ricoveri: sarebbe la traduzione clinica dello spostamento della tipologia del paziente. Vorrebbe dire che i giovani hanno diffuso il virus tra i 50enni, i 60enni. Allora il quadro cambierebbe e scatterebbe l’allarme».

Settembre sarà un mese caldo sotto vari punti di vista.

«È la sfida più grande: la ripresa della mobilità per motivi di lavoro e per la riapertura delle scuole. La grande differenza tra i movimenti di agosto e quelli di settembre è che gli spostamenti d’ora in avanti avverranno in strutture che dovrebbero essere più controllate rispetto alle discoteche: uffici e scuole dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, garantire una sorveglianza maggiore di un villaggio vacanze».

Ritiene la riapertura delle scuole un passo indispensabile, tanto da assumersi il rischio di avere 8 milioni di studenti che, ogni giorno, si muovono per le città e passano parecchie ore nelle stesse aule?

«Il ruolo sociale della scuola è irrinunciabile. Bisogna riaprirle, ma il sistema sanitario deve essere certo di avere le competenze per isolare subito eventuali casi. Il punto interrogativo, però, è enorme. Sappiamo che, nella prima fase, i soggetti in età pediatrica hanno rappresentato una quota minoritaria dei contagi. Ma abbiamo anche visto che nei Paesi dove le scuole sono rimaste aperte il virus si diffondeva, e tanto, anche tra i più giovani. Ricordiamoci che i bambini sono suscettibili all’infezione come tutti. Quello su cui la comunità scientifica si sta ancora interrogando, ed è importante trovare una risposta quanto prima, è la capacità dei più piccoli di trasmettere il virus».

Ci sono anche le elezioni amministrative e regionali. La preoccupano?

«È vero che per votare si muoveranno milioni di cittadini, però i seggi elettorali saranno frequentati da un’aliquota ben definita di questi. Se sarà gestito bene l’afflusso di persone, se le misure di prevenzioni e igieniche saranno rispettate, votare non dovrebbe essere una situazione pericolosa. Sarei più preoccupato per un concerto in Piazza Grande o per un evento sportivo».

Data l’incidenza della pandemia negli altri Paesi europei, è da considerare l’ipotesi di chiudere le frontiere?

«Io ho molti dubbi sull’efficacia della chiusura dei confini, semplicemente perché le passate epidemie ci dicono che è impossibile isolare una Nazione. Oggi, a meno che non si tratti di un’isola nel pacifico, separare in maniera stagna, completa, un Paese è impossibile: un certo flusso deve essere garantito per il commercio, il lavoro. Piuttosto, occorrerebbe potenziare ancora la rete di sorveglianza: i controlli alle frontiere vanno bene, chiuderle non farebbe una grande differenza».

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