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Il significato delle parole di Gentiloni, il prezzo politico della solidarietà fiscale nell’Ue e la responsabilità dell’Italia

03 Settembre 2020 - 23:46 Federico Bosco
L’audizione di Gentiloni nelle Commissioni Bilancio e Politiche dell'Unione europea è utile per riportare il dibattito sulla politica economica alla realtà. L’Italia ha una storia di inefficienza nella spesa sui fondi strutturali

Lo scorso martedì il Commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni è stato ascoltato dalle Commissioni Bilancio e Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato. L’argomento dell’audizione in videoconferenza è stato l’individuazione delle priorità nell’utilizzo degli strumenti del piano Next Generation EU (NGEU) messo in campo dall’Ue dopo la crisi da Coronavirus.

Gentiloni ha sottolineato l’importanza del momento storico che impone ai governi di essere all’altezza di sfide e decisioni senza precedenti, ricordando ai parlamentari che la Commissione europea si aspetta le bozze dei programmi entro la metà di ottobre, così da poter avviare il confronto necessario per arrivare alla presentazione finale prevista per l’inizio del 2021.

Gentiloni ha assicurato che i Piani nazionali non saranno redatti e imposti da Bruxelles, ma esaminati e approvati su proposta dei 27 Stati membri. Questa è l’essenza del NGEU: la Commissione non ha il compito di trasferire risorse a scatola chiusa, ma anzi ha l’obbligo di verificare che i piani siano in linea con le priorità comuni. Gentiloni ha infatti chiarito che a Roma non si deve pensare di poter usare i 200 miliardi semplicemente per ridurre le tasse. Infine, il commissario ha ricordato l’utilità del Mes sanitario, strumento che consentirebbe di rafforzare la resilienza del Servizio sanitario nazionale.

Il prezzo politico della solidarietà fiscale

L’audizione di Gentiloni è utile per riportare il dibattito sulla politica economica alla realtà. A breve la priorità per il governo italiano dovrà essere quella di elaborare un piano di spesa nazionale per i fondi Ue. Dopo il Recovery Fund l’Italia è l’unico Paese che passa da contribuente netto a beneficiario netto del bilancio europeo. Nei prossimi anni il Paese dovrà dimostrare un’efficienza nella programmazione macroeconomica che non sempre ha caratterizzato le esperienze del passato.

Il piano NGEU mette in campo un sistema di trasferimenti di risorse tra Stati, il prezzo di un sistema di questo tipo è il necessario meccanismo di controllo, dove in sostanza chi contribuisce può controllare chi riceve. Il gruppo dei Paesi frugali – tutti contribuenti netti – ha ottenuto il cosiddetto backstop (freno d’emergenza), procedura che consente di attivare su richiesta di uno o più Stati membri una discussione in Consiglio europeo sul comportamento di un paese sospettato di non essere in linea con le condizioni stabilite.

Il freno d’emergenza non è un veto, ma non è neanche qualcosa da sottovalutare. Dal punto di vista politico, l’idea che un paese Ue sollevi dubbi sull’affidabilità di un governo e si muova contro il trasferimento di fondi di un altro paese UE è una cosa enorme. Non è necessario che si arrivi effettivamente al blocco di una tranche per causare un terremoto politico, basta il gesto.

Un’azione del genere si basa sul sospetto e sull’accusa preventiva, non serve molta immaginazione per farsi un’idea di cosa succederebbe se (esempio) i Paesi Bassi chiedessero conto di un trasferimento destinato all’Italia dopo uno scandalo giudiziario. Quando il flusso di trasferimenti inizierà ad arrivare, la questione di chi rispetta quanto stabilito e chi no diventerà centrale nelle dinamiche europee.

La responsabilità dell’Italia

L’Italia ha una storia di inefficienza nella spesa sui fondi strutturali, ma fino ad adesso erano uno spreco di fondi da parte di un contribuente netto, in termini contabili un problema tutto italiano. Con il NGEU è diverso, nei Paesi frugali e nordici – compresa la Germania – l’opposizione ai trasferimenti tra Stati è viva e vegeta, i falchi del rigore guarderanno l’Italia con molta attenzione. Essere inefficienti non significherebbe solo sprecare fondi comunitari, ma anche avvelenare sul nascere il primo passo in direzione di quell’unione fiscale europea che spesso viene invocata come soluzione necessaria per un salto di qualità della costruzione europea.

Di fronte a questa responsabilità perde forza anche ogni opposizione all’attivazione del Mes sanitario. Se il problema dell’utilizzo del Mes è la sorveglianza rafforzata, quella è già presente, in via implicita od esplicita e in forma superiore, anche in tutti gli altri strumenti del NGEU. Sorveglianza che consiste nel controllare che il piano nazionale venga rispettato dal Paese che l’ha proposto per se stesso, con tanto di programma coerente delle riforme, degli investimenti per gli anni successivi, e la definizione dei target intermedi e finali. Per l’Italia adesso l’unico vero vincolo è quello interno determinato dalla scarsa capacità di programmare un piano di spesa dettagliato da presentare prima di ricevere i fondi, e portarlo a compimento.

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