Una scena «disperata, tra le più cruente dei tanti anni passati in servizio». Così Antonio Carella, il maresciallo che ha soccorso Willy Monteiro Duarte in quella notte maledetta tra sabato e domenica, ricorda al Corriere della Sera le immagini che gli sono passate davanti agli occhi.
Sono le 3.30. Attorno al ragazzo steso a terra ci sono una decina di persone. Il 21enne non riesce a respirare, un giovane di Colleferro, Marco Romagnoli, gli dà qualche buffetto sul viso nel tentativo di capire se sia ancora cosciente. Quando arriva sulla scena del delitto, il maresciallo chiama subito i soccorsi: «Non ho mai perso il contatto con i ragazzi che si erano radunati attorno a Willy», dice.
In strada si parla di un’auto che, con a bordo i fratelli Bianchi, ha fatto irruzione sul posto. Il maresciallo scopre che un ragazzo è riuscito a fotografarla con il proprio cellulare; mentre chiede il supporto di un’altra pattuglia, invia lo scatto al comandante, capitano Ettore Pagnano.
Carella non lascia mai la scena del crimine, fino all’ultimo: «Sono rimasto accanto a Willy tutto il tempo necessario finché non lo hanno portato via. Ero in pena per lui come fosse un figlio». Lo invita «a resistere, a tenere duro». Ma non è sufficiente.
Carella e due colleghi si recano allora presso il bar dei fratelli Bianchi, ad Artena. «Decido di dirgli che siamo lì per controlli all’auto, un modo laterale per affrontarli evitando di spaventarli troppo e scongiurando una possibile reazione», racconta. Solo in un secondo momento Carella dice loro che Willy Monteiro Duarte è morto, quindi porta i fratelli Bianchi in comando.
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