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Referendum ed elezioni amministrative: il diritto di voto negato ai giovani fuorisede

13 Settembre 2020 - 05:39 Felice Florio
Studenti e lavoratori che si sono trasferiti in cerca di fortuna possono votare solo tornando nel comune di residenza. Ma non tutti possono permetterselo. E in una fase di emergenza sanitaria si espongono migliaia di persone al rischio contagio

Andata e ritorno. La vita dei giovani che vanno via da casa, per l’università o per cercare lavoro, è scandita dalle prenotazioni dei viaggi che consentono di tornare dai propri cari. Almeno a Natale, forse a Pasqua, e durante l’estate. È una continua tensione verso l’offerta last minute o la ricerca di un Blablacar che faccia tappa nel piccolo paese della provincia del Sud. Si mettono i soldi da parte, ma non sempre i risparmi sono sufficienti: non tutti hanno i soldi per rientrare dove si ha la residenza, unica opzione, per i fuorisede, per esercitare il proprio diritto di voto. Diritto, ancora oggi, negato a chi non può permettersi il viaggio.

I trasporti, in Italia, non sono certo economici: tralasciando la particolare situazione delle isole, per la tratta Milano-Bari in treno, solo andata, non esistono biglietti più convenienti di 40 euro – ed è il costo di un intercity notte, la soluzione più economica, prenotata con largo anticipo. Stessa questione per aerei e autobus. Nonostante le compagnie, d’accordo con il governo, introducano degli sconti ad hoc per gli elettori, sono in tanti, chi per poca flessibilità di orari, chi per ristrettezze finanziarie, a dover rinunciare al ritorno.

Un esercito di studenti fuori regione

La stima del numero di lavoratori alle prime esperienze lontani da casa e che non hanno ancora spostato la residenza è impossibile da ricavare dalle banche dati. Più semplice, invece, avere un’idea di quanti siano gli studenti che hanno lasciato la propria regione per andare a studiare altrove: le cifre oscillano di anno in anno, ma è quasi un terzo degli iscritti alle università italiane a vivere la condizione di studente fuorisede.

Secondo il portale dei dati del Miur, nell’anno accademico 2017/2018 gli iscritti alle università italiane erano 1.690.834. Decurtando la quota di studenti stranieri – 83.925 -, risultano essere 1.606.909 gli universitari di nazionalità italiana. L’Osservatorio specializzato Talents Venture afferma che il 27,4% di questi ultimi frequenta un corso di laurea in una regione diversa da quella di residenza. Tradotto, in Italia ci sono 440.293 fuorisede.

Una questione sanitaria

Con l’esplosione dell’emergenza Coronavirus, quando si sono viste le stazioni del Nord inondate di ragazzi con gli zaini in spalla, ci si è accorti dell’entità di questo esercito di persone. La “Grande fuga dal Nord” la chiamavano i giornali: erano in molti a criticare questi spostamenti che avrebbero potuto contribuire alla diffusione nel virus del Paese. Sei mesi dopo, invece, si accetta questa movimentazione di massa, nonostante l’emergenza Covid-19 sia tutt’altro che superata.

L’incentivo all’astensione

Tra i soldi per il biglietto del viaggio e la paura di rinchiudersi in un mezzo di trasporto per ore, esponendosi al rischio di contagio, potrebbero essere in tanti a rinunciare a votare al referendum del 20 e 21 settembre. Elemento da non sottovalutare in un Paese che soffre dell’annoso problema all’astensione. Nel caso dei fuorisede, si tratta di 440.293 potenziali voti persi.

Considerando tutte le altre categorie di persone che, per motivazioni valide, non si trovano nel comune di residenza – sono quasi 2 milioni secondo il Comitato civico Iovotofuorisede -, l’elettorato che si sgretola davanti a questo ostacolo burocratico raggiunge cifre elevatissime. All’ultimo referendum costituzionale, quello sulla riforma Renzi-Boschi del 2016, l’affluenza si era fermata al 65,48%.

Le “categorie protette” e gli italiani all’estero

In Italia, la legge consente – per le elezioni politiche nazionali e per il referendum – il voto al di fuori del comune di residenza solo a determinate categorie di persone. Militari, corpi di polizia, lavoratori marittimi, degenti e detenuti. Per gli altri elettori lontani dalla propria città, lo Stato prevede semplicemente un rimborso parziale dei costi di viaggio sostenuti per andare a votare. Queste casistiche dimostrano che un’alternativa al viaggio verso la residenza esiste per facilitare il voto di chi vive lontano da casa.

Non solo: il paradosso è che gli italiani che vivono all’estero – anche gli studenti -, iscritti al registro dell’Aire, possono esprimere il proprio voto per corrispondenza alle elezioni nazionali e al referendum. Chi non paga le tasse in Italia e non usufruisce dei servizi può influire, votando, sulla politica del Paese più agevolmente dei fuorisede.

L’escamotage in una legge del 1970

I principi costituzionali che, tra l’altro, sottolineano la gratuità in materia di libertà di voto, sono quantomeno lambiti dalla legge vigente. Per aggirarla, tuttavia, esiste un escamotage che attinge all’art.19 della legge 352 del 25 maggio 1970, secondo cui alle operazioni di voto e di scrutinio per il referendum possono assistere dei rappresentanti di lista – uno effettivo e uno supplente -, per i partiti e i promotori del referendum.

Molti fuorisede, pur di esercitare il proprio diritto di voto, si appellano a queste organizzazioni per farsi designare in un seggio del comune dove si sono trasferiti. Basta allora la delega, il certificato elettorale e il documento d’identità per votare come qualsiasi normale elettore. Ma è un escamotage che sfrutta un ruolo, quello del rappresentante di lista, che in realtà è stato pensato per controllare le operazione di voto e di spoglio.

Imparare dagli altri Paesi

Il nostro sistema elettorale garantisce il voto per corrispondenza ad alcune categorie di persone e agli italiani che risiedono all’estero. La fattibilità di tali procedure è ben rodata: è dal 2002, in seguito all’approvazione della legge 459 del 2001, che questo diritto viene riconosciuto agli espatriati. Ma non è quello italiano il sistema più avanzato: senza pensare necessariamente al voto online, ci si può ispirare alla Germania, che ammette sia il voto per corrispondenza sia fisicamente in un altro seggio, se «per motivi personali o professionali» – e le vacanze sono comprese nella casistica – non ci si può recare nel comune di residenza.

I Paesi Bassi, oltre al voto in un seggio diverso, prevedono il voto per delega. Anche il Belgio e la Francia adottano il meccanismo della delega, ammessa esplicitamente per motivi di studio. Svizzera, Spagna, Irlanda, Regno Unito, per restare in Europa, consentono anche il voto per corrispondenza ai fuorisede.

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