Trovati indizi di una sostanza di origine biologica su Venere, ma non c’è la prova della presenza di vita

Sull’atmosfera del Pianeta sono state rilevate presunte tracce di fosfina, solitamente associata ad attività microbica

Gli astronomi americani e inglesi che hanno pubblicato il recente articolo apparso su Nature Astronomy, riguardo a tracce di fosfina sull’atmosfera di Venere, stanno facendo un certo scalpore, perché tale sostanza di presunta origine biologica potrebbe essere – secondo alcuni media che hanno rilanciato la notizia – un indizio della presenza di vita.


La sostanza è stata rilevata attraverso due diversi radiotelescopi: l’Atacama Large Millimeter Array in Cile e il James Clerk Maxwell Telescope nelle Hawaii. I due osservatori hanno ottenuto spettri ad alta risoluzione dell’atmosfera di Venere, grazie ai quali è stato possibile individuare la fosfina, dedotta dall’assorbimento specifico di onde radio.


Esiste anche un progetto dell’ESA che prevede il lancio per il 2028 del telescopio spaziale Ariel, con lo scopo di studiare la composizione chimica dell’atmosfera di diversi esopianeti, dove si ritiene più probabile la presenza di forme di vita primordiale. Citiamo, anche se meno pertinente per i metodi utilizzati, la scoperta del febbraio 2019, riguardante tracce di molecole organiche complesse attorno alla stella V883 Orionis.

Vita su Venere?

Possibile che invece di cercare così lontano, alla fine la vita si trovi proprio su Venere e non su altri candidati, come Marte o le Lune ghiacciate di Giove e Saturno, rispettivamente Europa ed Encelado? Al solito la prudenza non è mai troppa. Rilevare una apparente presenza non equivale ad accertarla; se poi si tratta di sostanze considerate marcatori di attività biologica, bisogna vedere se effettivamente sono state prodotte da forme di vita.

Ma la possibilità non è da escludere. È vero che l’atmosfera estremamente densa di Venere a noi non sembra il massimo dell’ospitalità, ma questo non significa che possa essere proibitiva per forme di vita molto semplici, come i batteri.

Inoltre, il problema principale riguarda l’estrema acidità delle nubi. Per quanto alla quota studiata (50-60 Km dal suolo), le condizioni siano simili a quelle terrestri, potrebbe essere la presenza abbondante di acido solforico il vero problema. Anche se esistono anche da noi dei batteri estremofili perfettamente in grado di sopravvivere e riprodursi anche in situazioni del genere.

Sulla Terra la fosfina viene ritenuta una traccia piuttosto forte della presenza di attività antropica o di vita microbica. Altrove invece, nei giganti gassosi come Giove, la fosfina si genera spontaneamente da processi che non richiedono la presenza di vita.

«È stato recentemente proposto che qualsiasi fosfina (PH3) rilevata nell’atmosfera di un pianeta roccioso sia un promettente segno di vita – spiegano i ricercatori – La traccia PH3 nell’atmosfera terrestre (parti per trilione di abbondanza a livello globale) è associata in modo univoco all’attività antropica o alla presenza microbica: la vita produce questo gas altamente riducente anche in un ambiente ossidante generale».

I limiti delle nostre conoscenze

Se quella rilevata dagli astronomi è davvero fosfina, quanto possiamo essere certi che a produrla siano state forme di vita? Ci sono effettivamente dei limiti. Al momento gli astronomi non possono escludere altre fonti, come dei fenomeni fotochimici o geologici al momento sconosciuti.

«Le informazioni mancano – continuano gli autori – ad esempio, la fotochimica delle goccioline delle nuvole venusiane è quasi completamente sconosciuta. Si deve quindi considerare una possibile fonte fotochimica […] Anche le domande sul perché organismi ipotetici su Venere potrebbero produrre PH3 sono altamente speculative».

Così, i ricercatori auspicano nuovi studi e ci tengono a precisare che per il momento «anche se confermata, sottolineiamo che la rilevazione di [fosfina] non è una prova robusta per la vita, ma solo per una chimica anomala e inspiegabile».

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