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Coronavirus, i numeri in chiaro. Pregliasco: «Se c’è un disastro nelle scuole lo vedremo fra due settimane. Questa pandemia è un iceberg: ma ora lo controlliamo»

20 Settembre 2020 - 19:56 Riccardo Liberatore
Per il direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano l’aumento nel numero di positivi è ancora dovuto ai contagi avvenuti durante le vacanze. Essenziale, adesso, prestare attenzione ai contagi in famiglia

Come solitamente avviene di domenica, calano i tamponi (questa volta di circa 20mila unità), ma purtroppo non diminuiscono di molto i contagi: stando al bollettino di oggi i nuovi positivi al Coronavirus sono +1.587, circa 50 in meno rispetto a ieri. Come sottolinea l’epidemiologo e direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano, Fabrizio Pregliasco, l’aumento complessivo conferma quanto contenuto nel report settimanale dell’Iss, «ovvero che l’aumento dei casi, ancora sotto controllo in termini di capacità di azione, ha una presenza di focolai in quasi tutte le province». «Si tratta di un dato atteso – aggiunge Pregliasco – perché siamo in un andamento endemico della malattia».

Cosa intende per “andamento endemico”? 

«Si tratta di convivenza con il virus che ha finito la sua epidemia. Siamo riusciti a limitare la sua diffusione in alcuni territori che ancora ne beneficiano grazie a un lockdown, direi migliore delle altri nazioni. Si tratta di una situazione che perdurerà. Possiamo immaginare quest’epidemia come un iceberg: è cresciuto a dicembre e gennaio nelle parti non visibili, poi a febbraio abbiamo visto “un botto” nella quota percentuale di casi gravi. Il lockdown ha sciolto questo iceberg lasciando però una piccola parte visibile, che sono i casi più gravi. L’iceberg continua a crescere, ma adesso siamo in grado di controllarlo, facendo sì che la parte superficiale rimanga limitata nella quantità».

I casi però continuano ad aumentare. È ancora troppo presto per parlare di “effetto scuola”?

«Si è ancora presto, ci vorranno ancora una o due settimane per poter vedere se c’è un disastro nelle scuole, poi molte regioni non sono neppure partite, aspettano martedì 24. Stiamo ancora vivendo l’effetto delle vacanze».

Secondo lei la prima settimana di “riapertura” è stata gestita bene?

«Si, sicuramente ci sono stati dei problemi enormi e attesi rispetto all’organizzazione, perché le scuole hanno dovuto adattarsi alle circostanze, quindi sicuramente siamo ancora in fase di attuazione delle esposizioni, con i limiti di una situazione in crescita».

Ha detto che l’Italia ha fatto meglio di altri Paesi. Effettivamente in altre nazioni, come la Francia, i positivi aumentano più velocemente. Quali errori hanno commesso?

«Difficile dirlo, purtroppo non c’è un manuale su come gestire l’epidemia. L’epidemia è probabilmente sfuggita di mano in una fase iniziale. Immagino che in Francia come altrove la parte sommersa dell’iceberg fosse semplicemente più grande rispetto all’Italia. Probabilmente è mancata la capacità di individuare i focolai in anticipo».

Tornando all’Italia, come valuta l’aumento dei casi in terapia intensiva?

«C’è stata una triplicazione dei soggetti ricoverati rispetto a fine luglio, quindi un accumulo dei casi c’è, come era inevitabile che fosse visto che i positivi aumentano. Però i dati aggregati cominciano a fare vedere una situazione che ancora non è impegnativa dal punto di vista della saturazione».

È tornata ad aumentare leggermente l’età media dei positivi.

«Probabilmente è una questione di “carotaggio”. Abbiamo eseguito molti tamponi durante le vacanze e in quel periodo sono stati individuati molti positivi tra i giovani. Ora, come dice il ministero, la gran parte dei contagi sono in ambito familiare quindi è naturale che l’età mediana aumenti».

È questa la cosa a cui dobbiamo prestare più attenzione?

«Si, assolutamente è la cose più importante. Ma per fortuna il 60-70% dei positivi derivano da una azione pro-attiva, nel senso che andiamo a rilevare i casi asintomatici, il che ci permette di mantenere quell’iceberg il più piccolo possibile».

Merito anche dell’app immuni? 

«Diciamo che siamo ancora troppo pochi ad usarla».

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