Nella scuola senza banchi monoposto la vicepreside dice no alle minigonne. Ma le studentesse protestano (come a Parigi)

Il primo giorno di scuola, la dirigente di un liceo romano avrebbe suggerito a una ragazza di non indossare la minigonna perché «provocante» e a qualche professore «poteva ‘cadere l’occhio’»

Questa pandemia di Coronavirus porta con sé strani effetti collaterali. Come il caos nella riapertura della scuole, con la necessità di assicurare il distanziamento e quindi di allargare gli spazi e avere più banchi. Caos che, a sua volta, ne porta un altro di effetto collaterale, dei meno prevedibili, che sorge perché i banchi monoposto, risposta alla pandemia che il commissario straordinario Domenico Arcuri sta inviando alle scuole, in un istituto del quartiere Garbatella, a Roma, non ci sono: un senso del “pudore” – se così si può definire – che trova pronta risposta in una “rivolta” social delle ragazze.


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E aggiungerei un sonoro daje compagne del liceo Socrate! ✊🏿♀️ #Repost @repubblica_roma • • • • • • Liceo Classico e Scientifico Socrate di Roma La vicepreside: “Niente minigonne a scuola, sennò ai prof gli cade l’occhio”. E le studentesse scoprono le gambe. Succede al liceo Socrate. “I banchi di Arcuri non sono ancora arrivati, e quindi sedute sulle sedie si vede troppo”. Il “consiglio” è stato dato a più di una studentessa dell’ultimo anno. Il preside: “Farò accertamenti”. La storia sul sito di @repubblica_roma, link in bio #liceosocrate #roma #rome #femminista #Femminismo #italia #lostupratoreseitu #donne #paritàdigenere #feminism


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I fatti

Secondo quanto riportano Repubblica e La Stampa, la vicepreside di un liceo della Capitale, il Socrate, avrebbe invitato le alunne a non indossare minigonne e simili. Perché? Mancano i banchi e le studentesse si troveranno a sedersi sulle sedie. E allora è meglio così, per non “indurre in tentazione”.

A raccontarlo su Repubblica è una studentessa. Il 14 settembre, quando in buona parte di Italia riapre la scuola – quindi anche il liceo Socrate di Roma «la vicepreside, entrando in classe per dare delle comunicazioni, ha poi chiamato fuori una mia compagna, che quel giorno indossava una gonna, una ragazza del quinto anno del liceo scientifico», si legge nella testimonianza riportata da Repubblica. Una «gonna normale, morbida. E che comunque, a prescindere da tutto, era il suo modo di esprimersi», aggiunge.

(Importa come era fatta, questa gonna, peraltro? No).

«Le ha detto che non era il caso di vestirsi in quel modo, che era provocante, che a qualche professore poteva ‘cadere l’occhio’. E a quanto abbiamo saputo la stessa frase è stata detta anche ad altre studentesse». Sullo sfondo, il fatto che, siccome i banchi monoposto sono ancora arrivati, al liceo al momento si sono eliminati del tutto i tavoli. Secondo alcune alunne, questa scelta le starebbe esponendo a «troppa attenzione da parte dei professori maschi».

Italia, anno 2020

Italia, Roma, anno 2020, dunque. Ma se da un lato certa “sensibilità” sembra dura a morire, dall’altro certamente non passa sotto silenzio. E la risposta fa il paio a quella delle coetanee francesi, impegnate in queste ore a replicare a prese di posizione altrettanto censorie sull’abbigliamento, nel loro caso pronunciate dal ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer.

«I nostri corpi non possono essere oggettificati, non possiamo prendere la colpa per gli sguardi molesti degli insegnanti maschi», si legge tra i messaggi che circolano nel liceo firmati dal gruppo di studentesse “Ribalta femminista”. L’invito era quello di recarsi a scuola tutte in minigonna. E così è successo. «Quasi tutte le alunne si sono presentate in gonna, abbiamo anche affisso cartelli di denuncia contro il sessismo per i corridoi, è stato emozionante. La scuola è un luogo che dovrebbe proteggere e tutelarci».

Non solo: è in arrivo una lettera al preside. Il quale, a Repubblica, ribatte di non saperne nulla. Anzi ieri, giorno del “tutte in minigonna”, lui non si è accorto di niente. «Per me è ovvio che tutte e tutti possono vestirsi come vogliono, gli unici limiti sono la Costituzione, il codice penale, e naturalmente un po’ di buon senso. Di certo non abbiamo un dress code né ci verrebbe mai in mente di imporlo. Ma avvierò subito delle verifiche. Le opinioni personali vanno bene, ma si parla di opinioni soggettive e tali devono restare, se si passa alla censura è un problema».

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