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Coronavirus, la fondazione Gimbe: «I tamponi sono il tallone d’Achille nella prevenzione della seconda ondata»

13 Ottobre 2020 - 11:29 Angela Gennaro
Sapevamo che sarebbe arrivata. Ma non abbiamo fatto abbastanza, dice la fondazione bolognese. «I ritardi burocratici e i conflitti tra governo e regioni scaricano sui cittadini la responsabilità del controllo epidemico attraverso restrizioni delle libertà personali»

I casi di Coronavirus si impennano (questa settimana sono quasi raddoppiati rispetto alla precedente – 29.621 contro 15.459), le misure restrittive tornano in campo – per quanto in veste completamente diversa da quel lockdown che per mesi ha bloccato l’intero paese. In sintesi, la seconda ondata è realtà. Annunciata, prevista, è già qui e per quanto il sistema ospedaliero stia ancora reggendo, dati i numeri ancora gestibili delle terapie intensive, l’allerta è ai massimi livelli. E i nodi vengono al pettine.

Insieme a quello del trasporto pubblico locale e della scuola – altro che calcetto, verrebbe da dire – c’è infatti un altro tema sensibile, su cui la fondazione Gimbe di Bologna accende i riflettori: i servizi sanitari territoriali che, nonostante le risorse assegnate dal decreto Rilancio (e che ci sono ancora), non sono stati potenziati nelle capacità di testing & tracing. Tradotto: sono ancora i tamponi il nostro tallone d’Achille.

«Nonostante l’apparente potenziamento dovuto alle nuove misure, il numero di tamponi rimane ancora largamente insufficiente». E stiamo per perdere – se già non è successo – la capacità di tracciamento dei contagi, fondamentale per il contenimento del virus e per applicare quelle famigerate piccole serrate necessarie per scongiurare il pericolo di chiudere tutto. Anche perché, semplicemente, non possiamo economicamente e socialmente permetterci un secondo lockdown.

Il piano e le criticità

Se da un lato c’è il nuovo Dpcm, dall’altro la fondazione Gimbe a proposito delle misure sanitarie incluse nell’ultima circolare del ministero della Salute “Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale” spiega: «Si tratta di un piano molto articolato che delinea quattro scenari di evoluzione dell’epidemia in relazione a diversi livelli di rischio e le conseguenti misure, che nello scenario peggiore prevedono un nuovo lockdown nazionale».

L’insufficiente capacità di tracciamento dei nuovi casi, aggiunge il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta, è «una delle determinanti del progressivo incremento dei casi iniziato a fine luglio, che dopo un mese ha innescato l’aumento dei ricoveri, e dopo circa 2 mesi quello dei decessi». 

Gli effetti delle misure restrittive del nuovo Dpcm firmato nella notte dal premier Giuseppe Conte e dal ministro della Salute Roberto Speranza si vedranno – se ve ne saranno – non prima di inizio novembre. E comunque appaiono poca cosa: «L’entità delle restrizioni stride con il mancato potenziamento dei servizi territoriali deputati al tracciamento, nonostante le risorse già assegnate dal Decreto Rilancio», affonda Cartabellotta. «Ancora una volta, i ritardi burocratici e i conflitti tra Governo e Regioni scaricano sui cittadini la responsabilità del controllo epidemico attraverso restrizioni delle libertà personali».

I dati

Sono 12.564.713 i tamponi effettuati alla data dell’11 ottobre. Ma di questo totale, «solo dal 19 aprile è possibile scorporare dal totale il numero dei casi testati, ovvero i soggetti sottoposti al test per confermare/escludere l’infezione da SARS-CoV-2, escludendo i tamponi ripetuti sulla stessa persona per confermare la guarigione virologica (almeno 2 finora) o per altre motivazioni», spiega Gimbe. Fino alla fase due, quindi alla prima parziale riapertura del 3 giugno, in media sono stati effettuati stabilmente 35mila test al giorno. Un numero poi sceso a una media di 25mila, mentre «solo a partire dalla metà di agosto, a seguito della risalita dei casi, è stato incrementato sino a raggiungere i 67.000/die nella settimana 5-11 ottobre».

GIMBE | Trend settimanali numero tamponi totali e casi testati (media giornaliera)

Un aumento che non è, però, omogeneo di regione in regione. «Nel periodo 12 agosto–11 ottobre, rispetto a una media nazionale di 5.360 casi testati per 100 mila abitanti, il range varia dai 3.232 della Sicilia ai agli 8.002 del Lazio», spiegano ancora dalla Fondazione. Bene anche Bolzano, la Toscana, la Lombardia, l’Emilia Romagna. Male, insieme alla regione siciliana, pure Puglia, Piemonte, Marche. Di 20 regioni, 10 sono sotto alla media nazionale.

Già da fine agosto Gimbe sollecitava le Regioni a potenziare le attività di testing & tracing, aggiunge Cartabellotta, «perché nella fase di lenta risalita della curva epidemica la battaglia con il virus si vince sul territorio». I tamponi sono invece stati «modestamente potenziati», e con l’impennata dei casi «si sono rivelati un “collo di bottiglia” troppo stretto che ha favorito la crescita dei nuovi contagi che negli ultimi 10 giorni da lineare è diventata esponenziale». 

GIMBE | Casi testati per 100.000 abitanti (12 agosto-11 ottobre)

Non solo: i tamponi non sono stati potenziati «in misura proporzionale all’aumentata circolazione del virus», dicono ancora dalla fondazione, «determinando un netto incremento del rapporto positivi/casi testati a livello nazionale che da metà luglio a metà agosto è salito dallo 0,8% all’1,9%, per raggiungere nella settimana 5-11 ottobre il 6,2% con notevoli variazioni regionali: dall’1,7% della Calabria al 14% della Valle d’Aosta».

GIMBE | Rapporto positivi/casi testati (5-11 ottobre)

Da aprile risulta raddoppiato, nelle regioni, il numero dei laboratori accreditati: da 152 a 270, «anche con l’accreditamento di laboratori privati». Ma non è dato sapere, notano da Gimbe, «né la quantità di tamponi che i singoli laboratori possono processare quotidianamente, né informazioni quantitative sul personale impegnato sul territorio nel prelievo dei campioni». Nel frattempo le code ai drive in documentate da giornali e tv, «o numeri telefonici dedicati a cui non risponde nessuno», per Gimbe «oltre ai disagi possono generare ritardi diagnostici nei pazienti positivi con peggioramento degli esiti clinici».

GIMBE | Numero di laboratori accreditati per l’esecuzione dei tamponi molecolari

L’azione del governo

La politica sta provando a correre ai ripari. Ma non basta: la strategia sembra nuovamente scontrarsi con le differenziazioni regionali, l’impossibilità di trovare standard ed equilibri, le criticità croniche di un sistema che no, in nove mesi di emergenza sanitaria non ha partorito una svolta. Le novità sulla quarantena («singolo tampone per confermare la guarigione virologica») permetteranno di «“recuperare” un certo numero di tamponi, non quantificabili con precisione ma stimabili intorno ai 20.000/die, visto che quelli di controllo rappresentano circa il 40% del totale».

ANSA/Massimo Percossi | Automobilisti in fila davanti all’ospedale San Giovanni per effettuare il tampone al drive-in. Roma, 7 ottobre 2020

E poi c’è la questione dei tamponi rapidi: «Oltre agli approvvigionamenti di alcune Regioni che si erano già mosse in autonomia, la richiesta pubblica di offerta del Commissario Arcuri, scaduta lo scorso 8 ottobre, prevede l’acquisto di 5 milioni di tamponi rapidi», dice la fondazione. Ma al momento non sono ancora noti «né i tempi di approvvigionamento, né le tempistiche e i criteri di redistribuzione alle Regioni». Usarli, poi, non è così semplice: ambulatori di medici e pediatri di famiglia hanno strutture spesso inadeguate «a garantire percorsi dedicati per sospetti casi Covid».

E le scuole? La figura (leggendaria?) del “medico/infermiere di plesso” non risulta presente a sistema. E in generale chi i tamponi rapidi dovrebbe e potrebbe farli – a scuola come altrove, quindi medici di famiglia, pediatri, infermieri scolastici – non risulta abbia effettuato il dovuto training, se non in casi sporadici. E la «probabilità di risultati falsamente negativi al tampone rapido aumenta in mani non esperte».

Insomma, c’è ancora tanto da fare. Perché le cifre di quello che era passato alle cronache come il “Piano Crisanti” – 300 mila tamponi al giorno, «sulla scia di quanto già proposto dalla Fondazione Gimbe» a maggio (200-250 casi testati per 100mila abitanti) – è ancora una chimera.

In copertina ANSA/Massimo Percossi | Code per il tampone a un punto drive-in that a Roma, 10 ottobre 2020.

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